Tutti gli articoli di paolo

sono nato a Venezia Lido il 29 luglio 1964 e sono del segno del Leone lavoro come Ispettore Tecnico navale per una primaria Compagnia di Navigazione Italiana

Un nuovo impegno dei cattolici per la buona politica

Dal Convegno di Todi, dove il Cardinale Bagnasco, presidente della CEI, aveva evidenziato come la presenza dei cattolici in politica fosse diventata sempre più marginale e di come invece ci fosse bisogno di una presenza valoriale, contemplando addirittura il peccato di omissione (per chi si tira indietro e non accetta la sfida che viene dai nuovi tempi), possiamo dire che sono avvenute, ad oggi, alcune condizioni perché i cattolici possano reimpegnarsi in politica. In primis perché è cambiato lo scenario politico generale e fanno parte dell’attuale compagine governativa alcuni di coloro che erano seduti al tavolo conferenziale di Todi, ma anche perché si sente l’esigenza di un impegno per la sana politica, impegno che la ns. Costituzione con l’art.49 prevede, però, che possa attuarsi solo attraverso i partiti, per i quali oggi vi è un diffuso disgusto, se è vero il sondaggio che affida ad un misero 4% il gradimento verso gli stessi. Ritengo che, soprattutto per i cattolici, l’attuale crisi di rappresentanza politica, si può ricercare in una gravissima crisi di carattere culturale ed etica: Culturale, nel senso sostanziale della parola cultura, cioè “di impostazione della vita umana come senso, come significato, come bellezza, come giustizia, come bene comune”; (questa cultura primaria,così la chiamava Giovanni Paolo II nel 1980, è sparita dal nostro Paese, lasciando lo spazio a una specie di “ideologia legata al proliferare di  posizioni razionaliste, consumiste o meglio, materialiste dominate dalla peggiore comunicazione mediatica”); Etica, nel senso di saper coniugare etica sociale con etica della vita.

Vieppoi la crisi della famiglia, nucleo fondante della nostra società. Lo Stato, oggi, non è più in grado di sostenere le politiche di Welfare che hanno contraddistinto la società italiana negli ultimi decenni, anzi le famiglie di oggi sono costrette a sopperire alla crisi grazie all’aiuto di una rete famigliare che parte dai genitori che supportano economicamente i figli e non viceversa, agli anziani che con le loro pensioni aiutano i bilanci familiari di lavoratori e lavoratrici che non riescono ad arrivare a fine mese, perché i loro stipendi sono sempre più inflazionati o perché licenziati.

Anche il neo Patriarca di Venezia S.E. Mons. Moraglia chiede attenzione su questi temi quando nell’Omelia della S. Messa solenne di inizio del ministero episcopale a Venezia(Basilica S. Marco, 25 marzo 2012) cita:” E il realismo cristiano si riflette su quanto appartiene all’uomo, innanzitutto include il rispetto della vita sempre, senza condizioni; poi l’accoglienza/l’integrazione, la promozione della famiglia, cellula fondamentale della società umana, l’educazione che mira alla pienezza della libertà, il lavoro come diritto e dovere che tocca la dignità stessa dei lavoratori e delle loro famiglie soprattutto oggi, il bene comune con il contributo specifico della dottrina sociale della chiesa; anche questi valori umani entrano negli scenari della vita risorta, sono i valori che stanno a cuore a una ragione amica della fede, valori che vicendevolmente s’illuminano e sostengono.”

Questa crisi politica e quindi sociale è un aspetto di questa impressionante crisi familiare per cui le famiglie, distrutte nella maggior parte della loro realtà, sono incapaci di dare ai giovani e ai più giovani degli orientamenti sicuri per vivere, e quindi quelle ragioni per vivere, senza la formulazione delle quali non esiste possibilità di educazione. Quindi non è un caso che la Chiesa ci richiami a ritrovare la politica alta, costruita sui valori e abbattere le barriere di egoismo e individualismo che stanno distruggendo le società contemporanee. Come Cattolici impegnati in politica ( ed è questa la sfida) dobbiamo poter “testimoniare” ai giovani e a tutti i cittadini, che la politica non e’ solo la cosa triste che sta emergendo sui giornali, ma e’ una cosa nobile, costruita su valori e grandi idealità, se risponde in modo etico alle esigenze del Paese.

 Paolo Bonafè Lido di Venezia

Dopo Todi: quale missione per i cattolici

Molti hanno interpretato l’annuncio e poi l’esito del convegno di Todi, come un segno della rinascita di un grande e omogeneo movimento cattolico, che persegue l’obiettivo di costruire una nuovo partito politico di ispirazione cristiana.

Ritengo questa una lettura riduttiva: i cattolici vivono la Chiesa, come comunità di credenti, e ne condividono  la natura “cattolica”, ovvero universale – in coerenza all’universalità del messaggio di salvezza di Cristo – pertanto l’universo cattolico è composito e plurale,  portatore di differenze culturali, di approcci e stili.

Per questo, oggi non ha alcun senso riproporre un partito cattolico, perché i cattolici in Italia non rappresentano un interlocutore omogeneo.

La questione è piuttosto un’altra, ovvero la qualità della presenza dei cattolici in politica in questi venti anni di Berlusconismo, in cui non si è riusciti a contrastare la deriva sociale ed antropologica, in un sistema che  ha visto, piuttosto,  la connivenza di  molti politici, che cattolici si dichiarano, ad un processo di desertificazione dei valori individuali e comunitari.

In questo quadro, l’evento di Todi può assumere un significato, a partire dalla necessità di un confronto, di una comune riflessione critica sul ruolo e sulla funzione che i cattolici, anche a partire dalla contraddittoria esperienza di questi anni, sono chiamati a svolgere, in un momento così drammatico della storia politica del Paese, in uno scenario di gravissima e strutturale crisi economica, di portata mondiale.

Diventare “lievito e sale del mondo” significa pertanto, non militare tutti nello stesso partito, ma essere piuttosto  portatori di valori autenticamente vissuti,  in tutti gli ambiti della vita pubblica, economica e sociale in cui siamo coinvolti.

Significa contribuire, ovunque operiamo, a co–costuire una società capace di giustizia sociale, di responsabilità nei confronti delle nuove generazioni, di distribuzione  equa della ricchezza, di uso consapevole  delle risorse. 

Personalmente, auspico che Todi sia l’opportunità per l’avvio di un percorso che ha tantissima strada davanti a sè.

Paolo Bonafè 

Componente Segreteria Comunale PD – Venezia

Manovra finanziaria e equità sociale.

La manovra finanziaria del Governo prevede, fra l’altro, l’aumento  di un punto percentuale dell’ IVA. Si tratta di uno strumento, bocciato dalle associazioni di consumatori, sia perché comporta  un ulteriore carico per le famiglie italiane, sia perché diventa un  intervento depressivo dei consumi, con pesanti ricadute sullo sviluppo economico,  in un momento di grave crisi del sistema. Il Rapporto COOP 2011, evidenzia, inoltre, come il potere d’acquisto delle famiglie sia calato negli ultimi dieci anni del 7% e che ogni punto percentuale di IVA pesi, per ben 7 miliardi, sui consumi annuali. I settori più colpiti saranno certamente quelli dei beni di non prima necessità, quali auto, arredo casa, multimedia, elettrodomestici, abbigliamento e vacanze, rispetto ai quali gli Italiani hanno già concentrato la loro politica di risparmio, prolungando l’uso dei beni accessori, rispetto al passato, e programmando periodi di ferie sempre più brevi. Ma ora le famiglie dovranno contrarre anche le spese riferite ai beni di primaria importanza: alimentari,  servizi  e benzina.

In questo modo diventa evidente come l’aumento dell’IVA, veicolato quale strumento a basso impatto che coinvolge uniformemente gli italiani, colpisca, in realtà, solo le famiglie a basso e medio reddito, i cui consumi sono già contratti. L’IVA è solo uno degli esempi per dimostrare come questa manovra finanziaria sia lontana dal principio di equità fiscale previsto dall’art.53 della Costituzione “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Anche il cosiddetto contributo di solidarietà crea disparità, a parità di reddito, fra dipendenti pubblici e privati, ledendo il principio costituzionale dell’eguaglianza.

Si tratta, pertanto, di una manovra inadeguata ad introdurre riforme strutturali  in grado, ad esempio, di contrastare le  ampie fasce di evasione fiscale, che rappresenta una delle cause endemiche del nostro deficit pubblico, infatti, da valutazioni del centro studi di Confindustria di giugno 2010 emerge che l’evasione fiscale effettiva è senz’altro superiore a 125,5 miliardi di euro, che corrisponde a 344 milioni di euro al giorno e a 14,33 milioni all’ora.

In tal senso, andava costruito un intervento in grado di rendere “conveniente“ per i cittadini la richiesta di fatture e ricevute fiscali per tutte le prestazioni di cui usufruiscono: questo lo si può ottenere solo introducendo il sistema delle detrazioni / deduzioni fiscali fino al 30%, per tutte le attività e prestazioni professionali di cui quotidianamente ci avvaliamo. Inoltre, si potrebbe introdurre una norma che vincoli alla certificazione tutti i lavori svolti all’interno delle abitazioni, certificazioni da allegare, obbligatoriamente, agli atti di compravendita degli immobili.

Un ulteriore strumento anti evasione è rappresentato  dall’utilizzo obbligatorio  di bancomat e  carte di credito,  per le transazioni che superino i 250 euro.

La tracciabilità delle transazioni di ciascuno di noi,  permetterebbe di porre in relazione       il reddito dichiarato con il tenore di vita delle persone, mettendo in luce tutte le incoerenze  fra dichiarazioni di redditi basse e stili di vita lussuosi.

Paolo Bonafè

Lido di Venezia – 9/9/2011

Si può sperare in una politica migliore

In una scena politica sempre più dominata da risse televisive e diverbi, diviene necessario recuperare modelli di comunicazione incentrati sul dialogo e sulla moderazione. Infatti questi atteggiamenti portano ad una disaffezione del cittadino verso le istituzioni ed un crescente assenteismo dalle urne, perché si accomuna il gran vociare e l’insulto facile, al vuoto di pensiero e all’assenza di un progetto politico. I cittadini rivendicano autonomia e capacità di valutazione critica che si esprimono anche attraverso il voto democratico: questo è oramai slegato da logiche di schieramento e tende a premiare le persone ed i programmi proposti. Infatti tutti gli istituti di rilevazione evidenziano come il più grande partito italiano è quello di chi non vuole andare a votare o di quello composto da coloro che decidono a chi assegnare il proprio voto, solo negli ultimi giorni di campagna elettorale, dopo aver analizzato i diversi programmi elettorali proposti. Tale nuovo approccio alla politica va attentamente analizzato perché mette in luce la crisi dei partiti, divenuti autoreferenziali ed approfondisce la frattura tra loro e la cosiddetta società civile. Stiamo pagando i danni provocati dalla nuova legge elettorale del 2005, denominata “porcellum” dallo stesso ideatore, che introdusse il sistema proporzionale puro con lo sbarramento al 4%, ma che ha impoverito ulteriormente la possibilità di espressione democratica del voto dei cittadini, con la predefinizione degli eletti da parte delle segreterie dei partiti, il cui potere è aumentato a dismisura. Una conseguenza evidente è la scarsa rappresentatività nel territorio degli eletti che oramai hanno perso la capacità di interlocuzione e di ricerca del consenso, perché risulta più semplice legarsi al politico potente di turno, che gli garantisce la possibilità di avere un seggio sicuro e quindi una elezione certa.

La politica ha quindi una grande responsabilità, quella di ritrovare il senso forte del suo agire nei valori fondanti di una democrazia matura.

Oggi, l’Italia è attraversata da una crisi non solo economica ma anche sociale che richiede una funzione di governo capace di esprimersi attraverso la realizzazione di riforme importanti. I cittadini hanno bisogno di una politica che avvii processi di cambiamento concreti, in grado di incidere sulle loro condizioni di vita. Gli interventi prioritari riguardano: la tutela del reddito e del potere d’acquisto, anche utilizzando la leva fiscale, la lotta  all’evasione ed una politica dell’accesso al credito che aiuti l’impresa, i giovani e la famiglia (le banche hanno beneficiato dell’aiuto di stato, nel momento di crisi, per salvare i propri capitali ed ora devono ritornare tali aiuti in termini di minori limiti al credito); una scuola che formi i giovani alle nuove necessità del mondo del lavoro; l’accesso ad un mercato del lavoro che offra garanzie di futuro alle generazioni più giovani e dopo il periodo di lavoro,  gli garantisca una pensione; il potenziamento di servizi sociali per le famiglie, gli anziani e le persone diversamente abili; l’offerta di una sanità di qualità in tutte le aree geografiche del Paese; una qualità e quantità di trasporto pubblico locale idonei alle esigenze di mobilità dei cittadini; un grande piano infrastrutturale mirato alle esigenze delle imprese e del sistema di trasporto integrato; una portualità diffusa ed integrata e per finire la lotta alla criminalità organizzata, che oramai ha diramazioni ed interessi in tutto il Paese.

Una riflessione sugli avvenimenti politici di questi ultimi mesi dimostra, invece, l’inopportunità che entrino, nell’agenda di governo, i temi relativi alla giustizia ( che invece stanno bloccando l’attività del parlamento e che sembrano interessare solo il Premier e i suoi accoliti), la modifica della costituzione repubblicana oppure i temi relativi all’ambito dei diritti civili (Bioetica, fine vita e coppie di fatto) perché interessano trasversalmente gli schieramenti politici e per questo vanno affrontati e votati in parlamento nelle libertà delle coscienze.  Questo disinnescerebbe la polemica politica, cui stiamo assistendo, evitandoci, per quanto concerne i temi etici, la penosa appropriazione dei valori cattolici da parte di coloro che erano in prima fila al Family Day,  per poi dimostrare, con i fatti e con i propri stili di vita, che erano i primi a non rispettarne i crismi.

Paolo Bonafè

Anche in tempo di crisi un miglior trasporto pubblico è possibile

La crisi con la riduzione dei trasferimenti, imposti dal Governo e dalle Regioni, impatta pesantemente sul settore della mobilità. Nel Veneto ne  risentiamo in modo particolare poiché  nostra  la Regione, più di altre, ha scelto un tagliare i propri finanziamenti dell’11,4% rispetto agli anni precedenti.

Premettendo che il diritto alla mobilità,  come sanità e sociale, attiene ad un ambito qualificante per il benessere di un territorio,  qualsiasi scelta operata in questo settore ha ricadute immediate, poiché ha a che fare con i tempi di vita delle persone, con impatti anche sul piano economico.  Quotidianamente gli utenti del TPL verificano le conseguenze dei tagli apportati in una Provincia, come quella di Venezia,  che ha una conformazione particolare, con un alta densità abitativa e  con una miriade di piccoli comuni, uniti oramai da una unica cintura urbana.

Efficienza  e accessibilità del settore pubblico dei trasporti, sono per un territorio fattori determinanti di sviluppo socio-economico e di impatto ambientale, nel contempo, è ormai un dato acquisito  che vanno tutelati i diritti di mobilità dei lavoratori pendolari e delle fasce più deboli dell’utenza, ma la situazione dei tagli costringe le aziende di trasporto – in accordo con le amministrazioni locali – a contrarre il servizio e a rimodularlo in base alle nuove disponibilità ( per non portare le aziende stesse alla bancarotta).

Riteniamo però che, a fronte della necessità di garantire il pareggio dei bilanci, il taglio delle linee  e/o la  rimodulazione tariffaria, non rappresentino le uniche e sole strade percorribili in  risposta alla crisi. Serve, infatti,  una strategia globale che incentivi effettivamente il trasporto pubblico rispetto a quello individuale, mediante una reale integrazione ferro-gomma e l’incentivazione di una mobilità cittadina  di tipo ciclabile .

Si deve puntare, in una logica di sistema,  alla integrazione delle reti, degli orari, dei servizi, dei biglietti, imponendo un modello virtuoso che riduca gli sprechi e  le sovrapposizioni.  Le attuali criticità sono il risultato della carenza di una funzione efficace  di governance, a fronte della frammentarietà dei decisori e delle aziende che gestiscono il servizio.  La normativa e gli atti di programmazione territoriale erano chiamati a  favorire la crescita dimensionale dei bacini e delle imprese, producendo quelle economie di scala, indispensabili, in una fase di risorse finite e limitate. In tal senso, era più efficace prevedere un’ unica gara, per l’assegnazione dei servizi del TPL, su area vasta o su tutto il territorio regionale, in luogo del frazionamento per bacini provinciali.

Il TPL ha bisogno di una grande stagione di responsabilità dei soggetti politici e istituzionali, di fronte alla possibile devastazione del diritto alla mobilità. Le difficoltà del trasporto pubblico devono essere affrontate e discusse con la partecipazione e il coinvolgimento di tutti i portatori di interesse. Le associazioni di rappresentanza dell’utenza devono avere tutte le informazioni necessarie per un pieno e responsabile coinvolgimento nelle scelte. In questo modo si riconosce al cittadino la funzione di stekolder,  che esprime pareri decisivi  nella  programmazione dei servizi e la buona amministrazione si misura anche su questo.

 

Venezia, 5 maggio 2011

Firmato da:

Paolo Bonafè e Luca Scalabrin

Consiglieri di amministrazione di ACTV SpA

Etica Amministrativa

Quanto avvenuto, prima in Provincia e poi in Comune di Venezia, deve far riflettere tutti coloro che svolgono ruoli politico-amministrativi, ma anche le segreterie dei partiti, perché Il successo di qualsiasi politica pubblica dipende in primo luogo dal buon funzionamento dell’amministrazione. La corruzione e qualsiasi irregolarità nel Servizio pubblico sono un ostacolo all’efficienza e minano la legittimità dello Stato di diritto; causano, inoltre, la perdita di fiducia dei cittadini nelle istituzioni politiche. La corruzione in generale, e quella amministrativa in particolare, va considerata un male pubblico poiché i suoi costi, a valenza economica e politica, ricadono su tutta la comunità sotto forma di diseconomie esterne. Le strategie e le politiche pubbliche, rivolte a combattere la corruzione politico amministrativa, devono essere indirizzate sia a ridurne le opportunità, sia a disincentivarne il ricorso, creando le condizioni perché per nessuno sia conveniente entrare in transazioni corrotte. All’interno dell’Amministrazione va, pertanto, ridata centralità al binomio etica e trasparenza, che vanno riconosciuti come valori cardine della cultura amministrativa. La trasparenza si lega indissolubilmente a funzioni operative come la comunicazione, la partecipazione, la tracciabilità, i processi autorizzativi, le procedure degli appalti, la valutazione dell’azione amministrativa e dei suoi risultati. La trasparenza, pertanto, rappresenta il principio che garantisce di entrare nel cuore dell’azione amministrativa, ne influenza il comportamento, favorendo il consolidamento di una “etica pubblica”. Paolo Bonafè – Lido di Venezia

Disastro antropologico e sociale nell’Italia 2011

Anche la Chiesa, a seguito dello scandalo sessuale che ha investito il Presidente del Consiglio, ha finalmente denunciato il “disastro antropologico” che attraversa la società italiana. Non si può non concordare con la CEI nel momento in cui si appella alla formazione delle coscienze come strumento fondamentale per superare la “desertificazione valoriale”,  fattore costituente di una mentalità, imbevuta di “una rappresentazione fasulla dell’esistenza, volta a perseguire un successo basato sull’artificiosità, la scalata furba, il guadagno facile, l’ostentazione e il mercimonio di sé”. Una mentalità alla radice del “disastro antropologico” che “si compie a danno soprattutto di chi è in formazione”.

Ma questa drammatica fotografia, che dimostra l’avvelenamento culturale cui l’Italia è stata sottoposta dopo 17 anni di berlusconismo, si accompagna al  “disastro sociale”  che priva ulteriormente  le nuove generazioni di possibilità di progettare il loro futuro, di sentirsi protagonisti della vita del Paese. La crisi economica sta provocando l’aumento delle distanze sociali, accentuando le disuguaglianze e accentrando la ricchezza nelle mani del 10% delle famiglie che, da sole, detengono il 45% delle ricchezza del Paese. I ricchi, insomma, sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri, mentre la classe media scivola inesorabilmente nella precarietà  economica.

Un tempo il lavoro rappresentava una garanzia di dignità contro la povertà, oggi questo non è più vero: anche in Italia si sta affermando la categoria dei lavoratori poveri, fenomeno ben conosciuto negli USA, dove ha trovato la definizione sociologica di  “workong poor”

Dobbiamo invertire la rotta rispetto  ad una politica del lavoro, che enfatizza flessibilità e precarietà, a fronte della concreta  perdita e rimodulazione dei diritti acquisiti in tanti anni di lotte sindacali.

Assistiamo così ad una autentica emergenza sociale che sta creando generazioni prive di tutele previdenziali e ammortizzatori sociali: i giovani oggi vivono un peggioramento sociale ed economico della loro vita rispetto alla generazioni dei loro padri, una involuzione del processo di crescita del Paese, inconcepibile fino a 15  anni fa.

Anche il tasso ufficiale di disoccupazione è falsato dalla presenza dei cosiddetti lavoratori scoraggiati – che  non si iscrivono più negli uffici del lavoro – e dal moltiplicarsi dei contratti ascrivibili allo stesso lavoratore.

Oggi sono le  famiglie e non lo Stato  a farsi carico della funzione di ammortizzatore sociale.

In questo scenario rappresentano un ricordo le tre “I” dello slogan di Berlusconi (impresa, inglese, informatica) che hanno lasciato il posto a  “P”,  precarizzazione, povertà, paura. La sfida oggi sta in una nuova svolta politica, culturale e valoriale che investa in un Italia dove si affermino  le tre “S”: solidarietà, società e sicurezza.

Paolo Bonafè –

La crisi di Eurolandia e quale politica economica per l’Italia

La crisi di Eurolandia e quale politica economica per l’Italia
L’ onda lunga della crisi economica continua ad impattare i paesi europei: dopo la crisi della Grecia, con il conseguente ri-finanziamento da parte della Comunità Europea, ora tocca all’Irlanda subire una analoga  situazione, per la catastrofica condizione in cui gravano le sue banche. Il problema riguarda l’enorme esposizione nei confronti del settore immobiliare che, ancora nel 2005, pesava per il 22% del PIL causando, già nel 2009, la recessione e la contrazione dello stesso PIL tra il 6 e il 7% . Ma lo scenario europeo  vede in particolare difficoltà il Portogallo e la Spagna, paese che nel Portogallo ha investito molti capitali nel settore immobiliare. A causa dei debiti/crediti tra queste due nazioni, alcuni analisti pongono il limite di default al primo trimestre del 2011, quando gli istituti finanziari dovranno pubblicare i dati della loro esposizione immobiliare;  alcune voci, riportate dal Financial Time Deutschland, parlano di pressioni affinché Lisbona richieda subito il salvataggio europeo, per consolidare le posizioni spagnole. Ambedue i Paesi stanno per emettere ingenti emissioni di buoni del tesoro per ricapitalizzare il proprio debito pubblico, rischiando di diventare vulnerabili alle azioni speculative internazionali, magari manovrate dai paesi emergenti o dagli Stati che non hanno interesse ad un Euro forte. In questa prospettiva la crisi di eurolandia diventerebbe  insostenibile e potrebbe causare problemi inflattivi di tale portata,  da far cadere anche l’Italia nella fase recessiva, e far propendere Francia e  Germania, paesi più forti, a rivedere la loro partecipazione ad una moneta unica. La crisi mette in luce il fallimento dell’Europa nell’esprimere una efficace capacità di governo, per le resistenze degli stati membri, che non hanno permesso si affermassero politiche economiche unitarie,  ma solo una  generica governance delle regole. Come conseguenza abbiamo un’ Europa a due velocità con il rischio di una rottura fra aree economicamente più forti, non più disponibili  a farsi carico di quelle più deboli. Si potrebbe, così, aprire una nuova fase che comporterebbe o la  revisione dei parametri europei, o l’uscita voluta od indotta dal sistema di alcuni paesi. L’Italia stessa si troverà a breve a dover rifinanziare  il proprio debito pubblico con una notevolissima emissione di titoli di stato e potrebbe finire oggetto degli stessi speculatori, che stanno mettendo in ginocchio la Spagna. La situazione richiede, con drammatica urgenza, un governo del Paese in grado di farsi carico, prima della fine dell’anno, di azioni prioritarie per salvaguardare  la nostra finanza da azioni di speculazione finanziaria. La prima è ridare stabilità, autorevolezza e credibilità alla politica italiana, fattori determinanti per la solidità economica del Paese, superando l’attuale stallo di un governo incapace di dare la giusta attenzione ai problemi degli italiani, perché proteso a difendersi da continui e progressivi scandali. L’ipotesi è un governo di ampia maggioranza che chiami alla corresponsabilità  tutti i soggetti in grado di assumersi l’onere di affrontare la crisi, adottando misure drastiche, anche se  impopolari. La seconda azione, è legata alla programmazione economico-finanziaria e riguarda la necessità di arrestare i processi di delocalizzazione industriale,  l’avvio di una incisiva lotta all’evasione fiscale, la promozione di un welfare che abbia la famiglia come soggetto prioritario e centrale. La terza azione riguarda la ricontrattazione della nostra partecipazione all’Euro, nella consapevolezza che,  se questo percorso non fosse praticabile, dovremmo affrontare una Exit Strategy, ovvero la valutazione di una nostra uscita dall’Euro,  secondo il modello adottato dal Regno Unito. Si tratta di una scelta prospettata da alcuni economisti, che comporterebbe inizialmente una forte crisi di adattamento ai mercati, ma che avrebbe sul futuro, ricadute favorevoli, poiché sostituirebbe il vincolo esterno, a cui ci sottopone l’Europa,  con una diretta responsabilità del nostro governo, che avrebbe la sovranità delle scelte economiche che ci riguardano e anche sulle strategie  delle alleanze globali. Si tratta di utopie o di fughe in avanti, certo è  che il primo trimestre del 2011 è alle porte, e lì potremo misurare le condizioni del nostro futuro.
Paolo Bonafè
Lido di Venezia 20/12/2010

Una nuova Italia è possibile

Mancano pochi giorni al fatidico 14 dicembre, giorno della presentazione della mozione di sfiducia al Governo da parte delle opposizioni e di FLI, e si alza forte la voce di quanti  denunciano la compravendita di parlamentari, a fronte di coloro che giustificano il trasformismo come  “normale mobilità” di appartenenza tra gruppi parlamentari.

Ma per l’opinione pubblica, gravemente preoccupata dalla crisi finanziaria e dalle sue pesanti ricadute sui livelli occupazionali, il teatrino della politica provoca un disgusto profondo e rabbioso. I leader delle diverse formazioni politiche stanno mascherando le loro vere intenzioni con comunicati e azioni, spesso fra loro contradditori. Sembra esserci una sola certezza: a Berlusconi conviene il voto a primavera, con in vigore l’attuale legge elettorale che gli garantisce la scelta dei parlamentari e assegna il premio di maggioranza alla coalizione vincente, anche per un sol voto.  Oggi la coalizione PDL e LEGA viene data circa al 40%, pur con una emorragia di voti dal   PDL verso la LEGA, ma  Berlusconi otterrebbe il risultato di punire i dissidenti di FLI, che sarebbero costretti ad allearsi con l’UDC e l’API, formando un terzo polo, dai risultati elettorali non particolarmente lusinghieri.  Il voto sarebbe utile  anche al PD che, dagli accordi in corso tra Casini e Fini che puntano fortemente ad un governo “tecnico” (o un Berlusconi bis allargato) che li veda protagonisti,  rischia di restare fuori della partita: i  sondaggi, infatti, danno un PD in calo di consensi rispetto alle politiche 2008,  ma compensati da una Sinistra in crescita, tanto da portare  la somma dei voti di PD-IDV e SEL al 38%.

Questo significa che i due poli di centrodestra e di centro sinistra potrebbero confrontarsi con un certo equilibrio (e l’elettorato questa volta potrebbe premiare il centrosinistra) mentre il terzo polo, considerato causa della caduta del Governo, resterebbe isolato, nell’impossibilità di praticare alleanze.

Per questo auspico che il PD non cada in logiche tatticistiche, ma si faccia interprete efficace delle richieste che provengono dal Paese – innanzi tutto stabilità, credibilità, legalità – e si assuma la responsabilità di disegnare, come proposta elettorale,  un nuovo grande progetto in cui l’Italia  produttiva e solidale si riconosca, quell’ Italia  che vediamo unita ed operosa nelle sciagure, ma spesso disorientata e lacerata, causa l’affermarsi da vent’anni di una cultura deteriore e manipolatrice. Credo che il più grande partito della sinistra italiana, facendo sinergia tra tradizione socialdemocratica e  cattolica, possa e debba essere il protagonista del processo di cambiamento, indispensabile per dare un futuro di democrazia, di benessere sociale ed economico al Paese..

 Paolo Bonafè Lido di Venezia 10/12/2010