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sono nato a Venezia Lido il 29 luglio 1964 e sono del segno del Leone lavoro come Ispettore Tecnico navale per una primaria Compagnia di Navigazione Italiana

Idrovia, una nuova prospettiva di trasporto

idrovia2Il 16 marzo, con la partenza di una prima chiatta carica di container, ha preso avvio  il progetto IDROVIA, che collega Mantova a Venezia su rotta fluviale, aprendo, nel cuore della pianura padana, una nuova direttrice di collegamento per il trasporto merci. Per quanti, da anni, affermano che la via d’acqua rappresenta una cruciale alternativa alla strada e alla rotaia, questo avvio è motivo di soddisfazione, nella consapevolezza che il progetto rappresenta un’ulteriore opportunità di sviluppo per tutto il Nord Est. Artefice di tale operazione è il  presidente dell’autorità portuale, Paolo Costa che da anni è impegnato nella creazione di una grande macroarea adriatica, fulcro di traffici merci e passeggeri. Il servizio, affidato alla   FLUVIOMAR, società partecipata dall’Autorità Portuale – utilizzando l’idrovia Fissero-Tartaro-Canal Bianco- attraversa, con un percorso di 135 km (parallelo al Po) la Pianura Padana e   congiunge Mantova al mare Adriatico e la foce di Porto Levante a Marghera. Il canale, i cui lavori sono iniziati nel 1939, è stato inaugurato solo nel 2002 e, fino a ieri, era destinato solo al trasporto granaglie e rinfuse per poche aziende. Ora è partito un servizio di trasporto regolare, che avrà cadenza bi-settimanale e, in prospettiva, potrà proseguire fino a Cremona.

La previsione dell’autorità Portuale è di centomila “teu” all’anno, corrispondente a cinquantamila container da 12 metri, sottratti al traffico stradale. Per sostenere lo sviluppo del progetto, si rendono necessarie l’implementazione delle infrastrutture a terra e procedure rapide di sdoganamento delle merci, per ridurre i tempi di imbarco/sbarco; nel contempo tale linea andrebbe inserita nel progetto RIS, finalizzato a monitorare il traffico fluviale, e garantire così più efficienza al servizio e aumentarne l’offerta.

 Gli studi di settore evidenziano come l’80% delle merci, in entrata ed uscita dal nostro paese, viaggino via mare ma poi, una volta arrivate in Italia, ben 66% di queste, prosegua il proprio viaggio via strada. Se alle merci aggiungiamo i passeggeri, l’incidenza del trasporto su gomma sale all’87%. Le previsioni ci indicano che, nei prossimi anni, se non verranno individuate nuove soluzioni, il traffico su strada assorbirà il 40% dell’incremento delle merci trasportate, creando la paralisi totale del traffico autostradale. Pertanto, l’unico settore che può svilupparsi ed aumentare la propria quota di mercato, è il trasporto marittimo e fluviale che, ad oggi, occupa solo una piccola parte del traffico merci totale. 

Vale la pena ricordare che il trasporto su chiatta ha minori costi (-17% rispetto al trasporto via autostrada e -50% rispetto al treno), cosa che i paesi nordeuropei hanno capito da tempo potenziando al massimo il trasporto via  Danubio, Reno, Rodano e Scheda.

 idrovia1Tale scenario conferma la necessità di perseguire il rilancio del trasporto via mare, che richiederebbe investimenti di 15 volte inferiori, rispetto a quelli delle infrastrutture stradali o ferroviarie:  basterebbero quindici navi traghetto  per diminuire di un 20% il traffico pesante sulle tratte autostradali più congestionate.

L’intensificazione del trasporto via mare, potrà inoltre rappresentare una risposta efficace nella prospettiva dei lavori di costruzione   della terza corsia autostradale e dell’alta velocità nella direttrice  Trieste – Venezia, che renderanno caotico il traffico in tutta la zona interessata.

Una politica di valorizzazione e sviluppo delle nostre naturali porte a mare  di Venezia e Trieste, permetterebbe di farle rientrare nell’ importante accordo per la creazione della macroarea adriatica, che servirebbe  tutto il Nord Est europeo, facendo concorrenza a Rotterdam e Anversa. I nostri porti invece  sono penalizzati: paradossalmente, grazie  ai contributi statali, agli operatori economici della logistica, risulta più economico da Padova imbarcare i container a Gioia Tauro o a Genova, piuttosto che utilizzare il porto di Venezia. E’ evidente che questo sistema distorto danneggia economicamente  i nostri territori, quando Venezia, Trieste e Ravenna, rappresenterebbero un’offerta portuale dalle enormi potenzialità. Se il problema della mobilità delle merci continua ad essere affrontato solo pensando al trasporto su gomma, il sistema viario risulterà sempre insufficiente  e pagheremo prezzi altissimi di impatto ambientale

Cap. Paolo Bonafè

Responsabile provinciale PD

Infrastrutture e Mobilità

L’alleanza scuola-famiglia nella lotta al bullismo

Mbullismo 1anifestazioni di bullismo permangono nelle nostre scuole: questo fenomeno consiste in comportamenti provocatori, di derisione, di aggressione che hanno la caratteristica di essere intenzionali e  ripetuti nel tempo, rispetto ai quali le vittime non sono in grado di difendersi.

I ragazzi che subiscono questa forma di violenza, difficilmente parlano con gli adulti di quanto sta loro succedendo. Per questo è importante che i genitori imparino a cogliere i segnali di disagio che i loro figli manifestano: il non volere andare a scuola e l’essere tesi e tristi al rientro; il chiedere di essere accompagnati; il presentare graffi o lividi; il dormire male e manifestare episodi di enuresi notturna.

La scuola, accanto ad una attenta vigilanza durante la ricreazione e l’orario della mensa, potrebbe offrire spazi per la conoscenza del fenomeno e per l’approfondimento del problema.

L’ alleanza genitori ed insegnanti diventa un elemento cruciale per aiutare le vittime a raccontare ciò che accade, perché il silenzio e la segretezza costruiscono le condizioni in cui il bullismo, attraverso i meccanismi dell’intimidazione, agisce indisturbato. Ma per incidere alle radici del fenomeno, bisogna aiutare bambini e ragazzi ad esprimere la rabbia in modo consapevole e ad identificarsi con gli altri, per capire le conseguenze dei loro comportamenti; nel contempo i giovani  vanno supportati a sviluppare l’autostima e le loro competenze. Combattere il bullismo significa estirpare una modalità relazionale improntata alla violenza, nella consapevolezza che, subire prepotenze, danneggia la sfera fisica, emotiva, intellettiva e sociale delle vittime.

Paolo Bonafè  presidente www.LaboratorioVenezia.it

Una crisi per le persone e per il sistema

disoccupatoSi moltiplicano sulla stampa le drammatiche notizie di  imprenditori e lavoratori che si suicidano  per il rischio di fallimento della propria azienda o per la perdita del posto di lavoro.

Nella sola area del nord-est, un tempo conosciuta come zona del miracolo economico, 1198 aziende, nel 2009, hanno aperto formalmente le procedure di crisi, coinvolgendo 31.000 dipendenti; il Pil pro capite, in due anni, ha subito un calo del 7,6%; la disoccupazione è salita al 4,8% e 237.000 sono le persone ufficialmente alla ricerca di lavoro.

In questo tessuto sociale, attraversato da una crisi economica senza precedenti, nell’ultimo anno, si sono tolti la vita 14 imprenditori e 7 lavoratori. Le cronache riportano biografie, su cui è delicato indagare, perché significherebbe entrare in scelte personali e drammatiche, che lacerano reti familiari e interrogano profondamente le  comunità di appartenenza. Ma queste vicende danno riscontro della profonda solitudine, in cui  le persone maturano scelte così estreme, come segno di un pesante fallimento personale. E’ come se l’individualismo del nostro vivere quotidiano, non permettesse di pensare che, nei luoghi preposti – le associazioni datoriali e di categoria, i sindacati – sia possibile  trovare uno spazio di confronto e una rete di protezione, per affrontare  la  situazione di emergenza. Per questo, va individuato e creato un tavolo permanente di dialogo,  per individuare strategie e trovare risposte  efficaci. L’uscita dalla crisi è un percorso multilivello che, coinvolgendo una pluralità di responsabilità e di attori, può trovare soluzioni condivise, attraverso le facilitazioni di accesso al credito, la formazione e l’innovazione.

Non aiutano, in questo senso, le dichiarazioni fatte in questi giorni dal Governo, nelle quali si vuole imprimere ottimismo per una fuoriuscita dalla crisi che non viene dimostrata nei fatti, visto che è questo,  il momento più critico della crisi stessa. Infatti fra pochi mesi termineranno gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione speciale) che hanno permesso di tamponare la situazione e, benchè le forze sociali e politiche del parlamento abbiano chiesto una proroga di sei mesi agli stessi, il governo con il suo ministro ha detto no!. Se poi analizziamo le stime economiche, su base nazionale, ci accorgiamo che la situazione è ben peggiore di quella che subiamo in Veneto. I due dati più preoccupanti sono quelli relativi al tasso di disoccupazione attorno all’8,6% (facendo presente che questo dato non conta sulla moltitudine di contratti atipici tipo CO.CO.CO. e CO.CO.PRO., che essendo a tempo determinato possono vedersi più volte rinnovati nello stesso anno  e di una parte del mondo femminile, da anni senza lavoro, che ha rinunciato da tempo di cercarsi una occupazione attraverso gli uffici preposti per l’impiego) e la caduta libera del PIL, pari al 5,1% rispetto all’anno scorso, che porta gli analisti a rapportare questo dato come il peggiore dal 1971. Se torniamo ad analizzare la situazione del nostro Veneto ci accorgiamo che di questa crisi sono state duramente colpite aree produttive, quali quella trevigiana e vicentina, che mai avremmo pensato potessero subire una così dura fase recessiva, che mina dalle fondamenta la solidità e la sicurezza economica delle famiglie ( basti pensare a quanti si stanno indebitando la casa per poter sostenere il reddito). Pertanto bisogna non nascondere la gravità del momento e intervenire sulle fasce che più abbisognano di aiuto. Il PD, in questo senso,  sta facendo delle proposte di buon senso, sarebbe opportuno che molti cittadini si accorgessero del baratro al quale siamo di fronte e grazie all’unico strumento che hanno in loro possesso, e cioè il voto, esprimano una forte protesta sull’attuale conduzione della politica economica dell’Italia e rafforzino qui partiti e quelle forze sociali che credono invece in soluzioni più concrete, che coniughino la tutela delle fasce più deboli e la tutela dei cicli produttivi con la tutela dell’impresa famigliare, che in questo nostro Veneto è il perno ed unico strumento per avviare quella ripresa che diventi traino, appunto locomotiva, per l’economia nazionale.    

Paolo Bonafè

Componente Esecutivo Provinciale

PD VENEZIA

 

Venezia 2010-03-13

Di crisi si muore

Si moltiplicano sulla stampa le drammatiche notizie di  imprenditori e lavoratori che si suicidano  per il rischio di fallimento della propria azienda o per la perdita del posto di lavoro.

Nella sola area del nord-est, un tempo conosciuta come zona del miracolo economico, 1198 aziende, nel 2009, hanno aperto formalmente le procedure di crisi, coinvolgendo 31.000 dipendenti; il Pil pro capite, in due anni, ha subito un calo del 7,6%; la disoccupazione è salita al 4,8% e 237.000 sono le persone ufficialmente alla ricerca di lavoro.

In questo tessuto sociale, attraversato da una crisi economica senza precedenti, nell’ultimo anno, si sono tolti la vita 14 imprenditori e 7 lavoratori. Le cronache riportano biografie, su cui è delicato indagare, perché significherebbe entrare in scelte personali e drammatiche, che lacerano reti familiari e interrogano profondamente le  comunità di appartenenza. Ma queste vicende danno riscontro della profonda solitudine, in cui  le persone maturano scelte così estreme, come segno di un pesante fallimento personale. E’ come se l’individualismo del nostro vivere quotidiano, non permettesse di pensare che, nei luoghi preposti – le associazioni datoriali e di categoria, i sindacati – sia possibile  trovare uno spazio di confronto e una rete di protezione, per affrontare  la  situazione di emergenza. Per questo, va individuato e creato un tavolo permanente di dialogo,  per individuare strategie e trovare risposte  efficaci. L’uscita dalla crisi è un percorso multilivello che, coinvolgendo una pluralità di responsabilità e di attori, può trovare soluzioni condivise, attraverso le facilitazioni di accesso al credito, la formazione e l’innovazione.

Paolo Bonafè Presidente www.LaboratorioVenezia.it

Ambiente: dall’ apocalisse alla prevenzione

terremoto2La drammaticità degli eventi catastrofici, mischiata al clima apocalittico, creato da pseudo predizioni sulla fine del mondo, produce nelle persone una percezione di ineluttabilità rispetto agli sconvolgimenti della natura.

Le cronaca, a partire dallo tsunami del 2004, è stata attraversata da tragedie continue – cicloni, tempeste, terremoti- mostrandoci distruzioni devastanti ed una umanità straziata e disperata. Immagini e storie che  lasciano in noi la sensazione di essere impotenti, in balia degli eventi naturali; sentimenti che contrastano con la cultura dell’uomo tecnologico, conoscitore  delle complesse  leggi che regolano l’universo e in grado di governare i processi e i meccanismi,  che presiedono la vita.

Questa oscillazione fra sentimenti e approcci di impotenza e onnipotenza, non ci aiutano a trovare un modo consapevole e responsabile di stare in questo mondo.

La Terra è un’entità vivente e come tale è soggetta a continui processi di cambiamento e trasformazione, spesso per noi impercettibili, ma  che si manifestano  anche  mediante  terribili eventi traumatici, come i terremoti dell’Aquila di Haiti e del Cile. Nell’ecosistema, la presenza e l’azione dell’uomo rappresentano una variabile decisiva: è dimostrato come  il depauperamento delle risorse, l’inquinamento ambientale incidano sulle tragedie naturali. Altrettanto va  ricordata la specifica responsabilità umana quando si costruiscono centri abitati in  territori geologicamente inidonei, o quando, nelle  zone  a rischio sismico,  non si utilizza l’edilizia appropriata.

Spetta solo all’uomo la scelta di anteporre la tutela delle persone, alla speculazione  economica.

Paolo Bonafè  Presidente www.laboratoriovenezia.it

Domenica 28 febbraio STOP al traffico

foto elettorali 072Quella di domani sarà la prima giornata italiana “interregionale” di maxi-blocco delle auto per abbattere lo smog. All’iniziativa parteciperanno 80 comuni  delle 7 regioni del nord d’Italia, mentre mancherà purtroppo l’adesione delle grandi città del centro sud.  Se la legge pone a 35 giornate  la soglia massima annua di superamento dei limiti di inquinamento, Napoli, ad esempio, raggiunge il triste primato dei 156 giorni,  seguita da Torino con 151, Ancona con 129, Ravenna con 126, Milano con 108, Roma 67 e Venezia 60. Per fronteggiare la grave situazione di emergenza, che questi dati denunciano, si è costituito un comitato di coordinamento fra gli amministratori dei comuni della Pianura Padana e l’ Anci, con l’obiettivo di predisporre  iniziative condivise e interloquire con il Governo e le Regioni, per ottenere risposte strutturali e risorse significative.

Con lo slogan “Il tram in movimento”, anche la città di Venezia aderisce alla domenica ecologica, dedicando la giornata ai temi legati alla mobilità sostenibile, mentre nella mattinata un convoglio tranviario percorrerà il tratto dal deposito di Favaro a piazza XXVII Ottobre.

Gli studi evidenziano che  il traffico urbano concorre alla produzione di PM 10 per il 45%, il  riscaldamento per il 28%, l’industria per  il 10%, porti e aeroporti  per il 9%.

Si sa che una domenica senza auto non può migliorare significativamente la qualità dell’aria, ma è certo che un’ efficace azione di sensibilizzazione, volta a promuovere il trasporto pubblico – in un complessivo quadro di sostenibilità dello sviluppo urbano – attribuisce alla giornata di domani una funzione importante, per favorire il cambiamento degli  stili di vita.

 

Paolo Bonafè Presidente www.laboratoriovenezia.it

I beni confiscati alle mafie: segni di speranza

Lo scorso 8 febbraio è stata presentata  a Roma la ricerca “ Beni confiscati alle mafie: il potere dei segni”, che propone un viaggio fra le significative esperienze, realizzate nel nostro paese, mediante la restituzione alle comunità locali  dei beni  sottratti alle organizzazioni criminali di  tipo mafioso. Dal 1982 al 2008, sono state ben 1.259 le proprietà confiscate, circa il 70% di queste sono gestite dal Terzo Settore, che ha avviato una pluralità di progetti di alto valore sociale, promuovendo e consolidando la cultura della legalità e della  partecipazione, in luoghi  storicamente in mano alla criminalità organizzata. La ricerca  prende in esame 116 progetti, di cui 31 realizzati in Sicilia  e 27 in Campania, ma essa rappresenta  un autentico viaggio dal nord al sud del paese: infatti, sorprendentemente, troviamo raccontate anche due esperienze presenti in Veneto. La prima riguarda una villa, a Campolongo Maggiore (VE), confiscata alla “Mala del Brenta”, dove l’Associazione  Affari Puliti, con il concorso degli Enti Locali, promuove un incubatore di impresa a favore di giovani. Nello stesso spazio il Comune di Campolongo, gestisce, in collaborazione con il non profit, interventi a favore di persone a rischio di esclusione sociale. La seconda esperienza la si incontra ad Erbè (VR), dove, in una parte di un complesso immobiliare ubicato in zona agricola, l’Ulss 22 ha organizzato, con il supporto del Terzo Settore, servizi e comunità a favore di persone con problemi psichiatrici o di disabilità. Una porzione è affidata all’Agesci, per la realizzazione di una base regionale, mentre  il resto dell’area è destinato alla cittadinanza come  parco urbano.  

Paolo Bonafè presidente www.laboratoriovenezia.it

L’attualità della lezione di Don Milani

don milani 2Un quotidiano ha riportato  l’esito di un’inchiesta che rileva lo stretto legame fra lo sviluppo socio-economico di un territorio e il livello di apprendimento scolastico dei ragazzini che lo abitano: emerge così l’immagine di un’Italia segnata,  ancora una volta,  dalla disparità fra nord e sud, fra ricchi e poveri. Fotografia che,  non stupendo, non sembra nemmeno stimolare  e sviluppare alcuna seria riflessione, rispetto all’emergenza culturale di cui il paese soffre. Il settore della  scuola subisce improbabili “riforme” e continui tagli finanziari,  mentre gli insegnanti non rappresentano  certo una categoria professionale fra le più valorizzate e socialmente riconosciute. A fronte di ciò, il dibattito politico si concentra  sull’introduzione  dell’insegnamento del  dialetto nella scuola; tutto questo in un paese in cui, solo il 30% delle persone, legge un quotidiano o un libro all’anno, in cui il livello di alfabetizzazione medio  mette in luce una scarsa dimestichezza con la lingua italiana e con le elementari basi della matematica.

Di fronte a uno scenario sconfortante, in cui sembra mancare un pensiero capace di una proposta significativa, è impossibile non ricordare la voce profetica di Don Milani, il suo impegno incessante a favore di un’autentica giustizia sociale, che nella scuola ha il suo fondamento. Nella  famosissima  “Lettera ad una Professoressa”, in cui trova efficace sintesi il significato dell’esperienza della scuola di Barbiana, egli ci richiama in modo forte a capire che “E’ la lingua che rende uguali. Uguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui”. Era il 1967, eppure quelle parole non hanno perso un grammo della loro forza.         

       

Paolo Bonafè  Presidente www.laboratoriovenezia.it

La generazione sandwich

giovani 2Si tratta di una delle ultime definizioni sociologiche, riferita ad una generazione che si trova schiacciata in modo pressante fra due aree di bisogno, quella di cura e assistenza, espressa dai genitori ormai anziani e quella di sostegno ed aiuto economico, manifestata dai figli, impossibilitati ad emanciparsi dal nucleo familiare di origine. La generazione sandwich, oggetto di attenzione da parte dello stesso presidente  Obama, in Italia presenta una connotazione propria e riguarda la generazione fra i 55 e i 65 anni, con una particolare caratterizzazione al femminile. E’ quindi sulle donne – per la funzione di caregiver loro storicamente attribuita – che questa pressione pesa maggiormente: le cause sono rintracciabili nell’allungamento medio della vita, nella cronica carenza di servizi sociali, nella grave crisi economica. Ognuno di questi fattori, o un mix degli stessi, costringe questa generazione a fronteggiare le richieste di cura dei genitori e addirittura dei nonni, di mantenimento dei figli e di accudimento dei nipoti.  Questa  analisi non è volta a  negare il valore imprescindibile del  patto di solidarietà, che deve legare le generazioni fra loro, ma piuttosto evidenzia come questo patto, per realizzarsi pienamente nell’attuale società, non possa trovare risposta nel recupero del modello ottocentesco della famiglia patriarcale. A fronte della fisiologica  crisi del Welfare State, il nuovo modello che si sta imponendo, il cosiddetto Welfare di Comunità, non deve confondere l’attuazione del principio di sussidiarietà  con la rinuncia all’assunzione delle responsabilità da parte dello Stato, trasferendo i carichi di cura e assistenza sulle famiglie.

 

Paolo Bonafè  presidente www.laboratoriovenezia.it

La Rivincita della Campagna

paesaggio campagnaIn cento anni la nostra società ha subito profonde trasformazioni, che hanno visto il complesso passaggio dalla società rurale, a quella industriale, fino alla cosiddetta società  postmoderna.

Questi cambiamenti, che investono aspetti economici, sociali e culturali, hanno avuto come esito, fra gli altri, l ’abbandono delle campagne a favore di un imponente processo di inurbamento, che ha comportato la crescita caotica delle aree urbane, con alti costi di impatto ambientale.  Ma anche questo fenomeno ha avuto una battuta d’arresto,  perché le persone hanno iniziato a lasciare le grandi città, spinte dalla necessità di recuperare, sotto il profilo delle relazioni e del rapporto con la natura,  dimensioni di vita a misura d’uomo. In tale contesto, si sta affermando, proprio in questi ultimi anni, un nuovo interesse per la campagna e il mondo agricolo nel suo complesso, non solo come opportunità di svago e relax, ma come proposta praticabile di vita. A fronte della crisi del modello consumistico, quale unico paradigma di sviluppo, è stata superata la visione, che considerava il mondo agricolo come una realtà arretrata sotto il profilo socio-economico. Il ritorno alla campagna non rappresenta sicuramente un evento di massa, riguarda invece  percorsi biografici individuali, però indicativi di un’ emergente cultura, attenta alla produzione biologica, al recupero delle biodiversità, al mercato dei prodotti a Km 0. Ma oggi si rende necessario un investimento strategico, che recuperi e tuteli la nostra tradizione agricola e nel contempo la  rinnovi  con tecnologie rispettose dell’ambiente. Potrà diventare così concreto richiamo e opportunità di vita e di lavoro per molti giovani.

 

Paolo Bonafè  Presidente www.laboratoriovenezia.it