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LA STORIA INFINITA DELL’OSPEDALE AL MARE

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2022-06-24 gazzettino ex ospedale al mare

2022-06-14 nuova venezia Ospedale al mare

Nel 2003 chiude definitivamente l’Ospedale al Mare e il presidio sanitario di Lido e Pellestrina viene ristretto nel cosiddetto Monoblocco. Il grande complesso, costruito negli anni Venti, entra nella disponibilità del Comune. Questo (Giunta Cacciari) lo cede al Fondo Est Capital nell’ambito di una grossa operazione che asseritamente darà vita a un colossale rilancio del Lido, tra cui la costruzione del nuovo Palazzo del Cinema. Ne segue un fragoroso fallimento con pesantissimo contenzioso tra il Comune e il Fondo. La Giunta Orsoni, in grave difficoltà quanto a finanze, cede il complesso a Cassa Depositi e Prestiti (CDP nel seguito) che se lo prende un po’ obtorto collo e, avendo acquisito quasi metà dell’operatore turistico TH Resorts, ne concepisce un uso ricettivo turistico. Nel frattempo, l’intero complesso versa inevitabilmente in condizioni di estremo degrado. Viene anche in qualche modo “sigillato” per evitare che diventi rifugio di sbandati. L’unico che se la passa decisamente meglio è l’arenile. Cessata l’attività antropica dell’Ospedale, grazie alla meravigliosa capacità della natura di riprendersi in fretta quello che l’uomo le lascia, (ri)diventa col tempo un sito trofico e riproduttivo per l’avifauna, analogamente a quanto avviene agli Alberoni e a Cà Roman.

Siamo, attenzione, in tempi immediatamente precedenti la pandemia. CDP mette sul tavolo un progetto che prevede la realizzazione di un complesso turistico all’interno del quale ci saranno un albergo della stessa TH Resort, un resort 5 stelle gestito da Club Med e un centro benessere privato aperto al pubblico. Verranno preservati il Teatro Marinoni e la Chiesa di Santa Maria Crescente e recuperati gli edifici costeggianti via Cipro. Nel “pacchetto” pure il recupero a uso pubblico (segnatamente sportivo) della contigua area ex Favorita. Naturalmente la spiaggia sarà destinata agli alberghi pur nel rispetto dei particolari valori naturalistici (ma sono cose che si dicono sempre, difficile..). Troverà spazio anche una Scuola Internazionale di Turismo, in prospettiva un Corso di Laurea vero e proprio di Cà Foscari, fortemente voluto dall’ex Rettore. Cinque padiglioni (su 22) verranno invece demoliti per fare spazio al resort. L’investimento, colossale (132 milioni), tutto a carico di CDP.

CDP ottiene tutti i permessi necessari, quello del Comune (che lo sposa senza riserve) e, importante, quello della Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale del MIBACT (Corepacu) segnatamente per la demolizione dei 5 padiglioni che (assieme agli altri 17) nel 2008 sono stati vincolati in quanto “La singolare struttura a padiglioni dell’Ospedale al Mare, come sopra descritta, si ritiene di estremo interesse nel suo insieme in quanto complesso di immobili nato con precisa finalità di servizio sanitario pubblico, che vede al suo interno interessanti esempi di architettura del primo Novecento”.

Il progetto, come sempre avviene nel nostro Paese (e massime a Venezia), riceve una serie di critiche. Ci sono coloro cui il rendering del progettato resort non piace, chi pone interrogativi sul paventato ridimensionamento dell’attuale Monoblocco, chi sul senso finanziario dell’operazione visto l’esborso tutto a carico di CDP (quindi denari pubblici). Poi critiche alla Scuola Internazionale di Turismo e c’è chi stigmatizza l’ennesima riproposizione di nuovi alberghi. Non manca altresì la preoccupazione degli ambientalisti per l’arenile e le sue ritrovate valenze ecologiche.

Sono tutte critiche con una loro ratio. Resta alla valutazione di ognuno soppesarle con ciò che sta sull’altro piatto della bilancia (ovvero, per quanto sia superfluo: il recupero di un “buco nero” nel territorio, la creazione di centinaia di posti di lavoro diretti e di indotto, il recupero di aree ad uso pubblico).

 

Ma soprattutto sull’operazione pende un ricorso al TAR di Italia Nostra. Questa lo fonda su un motivo preciso: la progettata demolizione dei citati 5 padiglioni dell’ex Ospedale che, a dire dei ricorrenti, non meritava l’approvazione da parte del Corepacu. La tesi, in sintesi, è che poiché sono vincolati, questi non sono “disponibili”: obbligo di CDP, nella fattispecie, è la loro conservazione (figurarsi se può disporne la demolizione). La loro distruzione (ancorché stiamo parlando, ricordo, di soli 5 padiglioni su 22) “altererebbe irrimediabilmente il complesso monumentale sotto il profilo architettonico e paesaggistico e costituirebbe, inoltre, una inaccettabile ferita alla memoria storica dell’isola” (riporto le parole esatte dei proponenti).

Non importa che si tratti di edifici senza particolare interesse storico o architettonico, peraltro in rovina. Non fruibili né godibili dalla cittadinanza, destinati inevitabilmente al definivo collasso se questo progetto dovesse cadere. Non conta, si badi bene, il valore intrinseco del manufatto, non le sue potenzialità, non il costo di un eventuale recupero, non la possibilità di fruizione. Ma esiste, e per il solo fatto di esistere e di essere, inevitabilmente, “testimonianza” o “memoria storica” – nella fattispecie di un ambito ospedaliero del primo Novecento – deve rimanere. Anzi, nemmeno essere “alterato”.

Non vogliamo certo mettere in discussione il principio, sacrosanto, della tutela e della preservazione di monumenti e bellezze naturali. Meno che meno sindacare sull’obbligo morale del mantenimento della memoria e della conservazione delle testimonianze del passato; ma, proprio perché si tratta di un’attitudine virtuosa, deve essere esercitata in modo avveduto e ragionevole. Per tre motivi:

  1. Pena la stessa perdita di significato del concetto di tutela. Perché se bastano, come nel caso di specie, “interessanti esempi di architettura del primo Novecento” allora vale tutto. Perché tutto ciò che esiste è inevitabilmente di per sé testimonianza e memoria. Anche le famigerate Vele di Scampia diventano “esempio di edilizia popolare, sede di degrado e criminalità, rappresentativo degli anni ‘60”. E i lugubri capannoni industriali, ora vuoti, dissennatamente dispersi nella nostra campagna, costituiscono senza dubbio la memoria “dell’industre operosità della popolazione veneta”.
  2. Perché se non si seleziona ciò che è veramente degno di tutela, si finisce, per ovvie ragioni, con il non tutelare davvero nulla, per mancanza fisica di disponibilità finanziarie e impossibilità di valorizzare il patrimonio. Nella migliore delle ipotesi si finirebbe con il mantenere in piedi a fatica dei gusci vuoti.
  3. Perché così si nega lo stesso principio naturale e umano del “divenire”. Tutto scorre come un fiume, diceva Eraclito ed è inevitabile. Il voler artatamente mantenere tutto è concettualmente privo di senso. Venezia stessa, tutta la irripetibile magia della nostra città, è il frutto, nei secoli, di continue e coraggiose (e talvolta dolorose) distruzioni e ricostruzioni.

Tutto ciò premesso, oggi assistiamo a un colpo di scena sperabilmente interessante. CDP (forse saggiamente) sembra abbia ripensato la destinazione alberghiera in favore di un “centro biomedicale” tedesco. È un’evoluzione potenzialmente interessante a cui guardiamo con fiduciosa aspettativa. Oggi non ci sono dettagli in merito e plaudiamo dunque all’iniziativa dell’on. Federico Fornaro (LEU) che ha presentato un’interrogazione al Ministero dell’Economia per saperne di più.

Ci permettiamo di segnalare quali sono a nostro parere gli elementi chiave di valutazione dell’operazione:

1) La solidità e la sostenibilità economica del progetto (onde evitare l’ennesimo buco nell’acqua);

2) Il mantenimento e auspicabilmente il potenziamento del presidio sanitario nell’isola (che fine fa il Monoblocco?);

3) Il mantenimento (come da progetto precedente) del recupero e uso pubblico del Teatro Marinoni e della chiesa;

4) Il superamento del ricorso al TAR (ovvero se rimane l’abbattimento dei 5 padiglioni contestati) che ad oggi ha costituito uno dei motivi della situazione di stand by.

 

Ecco! Questo è il futuro !!! L’imbarcazione ad idrogeno

alilaguna hepic

 

Si tratta di  Hepic (Hydrogen Electric Passenger VenICe boat): così si chiama l’imbarcazione a idrogeno presentata durante il Salone Nautico 2021, e ripresentata in questo salone 2022, costruita da Cantieri Vizianello.

 

Si tratta senza ombra di dubbio di un caso di eccellenza a livello internazionale per il trasporto pubblico di linea per passeggeri in acque interne.

Il propulsore dell’imbarcazione è totalmente elettrico: Hepic è dotata infatti di un motore elettrico e di altri sistemi elettronici che controllano la potenza sull’asse dell’elica per generare il moto.

 

La novità essenziale è che può ricaricare le proprie batterie di bordo sia durante la navigazione, combinando l’idrogeno all’ossigeno all’interno della cella a combustibile, sia da una colonnina elettrica di rifornimento a terra.

L’idrogeno, inoltre, consente fino a cinque volte la densità di energia delle batterie agli ioni di litio; quindi garantisce un maggior numero di ore di navigazione senza la necessità di ricariche intermedie.

A Venezia c’era stato solo un prototipo in passato, “Accadue”, creato per testare il funzionamento delle celle a idrogeno, ma il mezzo era di ridotte dimensioni e trasportava solo il comandante. A differenza di Hepic, che è un mezzo reale, simile ai normali vaporetti utilizzati in città per il trasporto pubblico, Accadue aveva parecchi limiti strutturali e di utilizzo.

 

Alilaguna, una delle principali aziende operanti nel trasporto pubblico nella città di Venezia, ha sostenuto e portato a compimento l’opera.

Con Hepic si può mettere in acqua un’imbarcazione in grado di operare tutti i giorni dell’anno come fanno da decenni le imbarcazioni convenzionali a propulsione termica, ma con una tecnologia nuova ed eco-sostenibile come quella a Fuel Cell a idrogeno.

 

Si legge dal sito di Alilaguna: “Alilaguna con questo progetto intende continuare il rinnovamento della propria flotta investendo nella ricerca di soluzioni tecnologiche innovative nella propulsione navale, in grado di massimizzare le efficienze di impiego dei carburanti e diminuire il più possibile le emissioni carboniose climalteranti secondo i dettami dell’Unione Europea e con ciò tutelando, al contempo, il fragilissimo patrimonio di Venezia e della sua Laguna”.

 

# Lentezza burocratica

 

Il principale problema che ci farà ancora attendere prima di vedere queste imbarcazioni al servizio di cittadini e turisti è di natura meramente burocratica.

La normativa italiana che regola il trasporto pubblico passeggeri in acque interne non contempla ancora possibilità tecnologiche come la barca a idrogeno.

Anche a livello europeo, purtroppo, non esiste ancora un quadro di regole uniforme e condiviso tra i paesi. Cosa che invece, per quanto riguarda le automobili, già è presente.

 

Quindi per il futuro serve anche snellire le procedure di rilascio autorizzazioni e superare le lungaggini burocratiche

Una nuova politica dei trasporti a Venezia è possibile!

alilaguna ft 1 alilaguna ft 2

 

Anche quest’anno il Salone Nautico è stato un’occasione per presentare nuove geometrie di scafi, nuove tecnologie di conduzione dei mezzi e soprattutto conferme e soluzioni di motorizzazioni sempre più green.  A Venezia da dieci anni stanno navigando nei canali veneziani imbarcazioni ibride,  cioè che sono dotate di un motore endotermico collegato ad un alternatore e ad un pacco di batterie,  dove il motore endotermico carica  tramite l’alternatore le batterie e quando si spegne il motore endotermico le batterie danno potenza all’alternatore e quindi alle eliche. Queste barche sono 10 e solcano i canali ed appartengono ad Alilaguna, costruite da Cantieri Vizianello, il quale cantiere ho costruito anche taxi ibridi della serie Thunder. Orbene, visto che la tecnologia è oramai consolidata e in questi anni anche molti altri cantieri si sono specializzati, anche nella propulsione elettrica, perché non si sfruttano i soldi del PNRR e della Mobilità sostenibile e non si attua una incentivazione alla rottamazione dei motori più inquinanti con motori più green? In terraferma e nelle città si sta usando il deterrente delle giornate ecologiche,  che poco fanno, a causa l’inquinamento stratificato della pianura padana, ma che inducono alla rottamazione delle auto, grazie anche  agli incentivi statali. Questo nel tempo sta portando al cambiamento del parco mezzi circolante.

Così si dovrebbe fare anche a Venezia città d’acqua!

Tipo fare un ordinanza comunale che dal 2030 in laguna non potranno circolare mezzi che non siano a basso impatto ambientale (ragionamento che non si limita alle sole motorizzazioni ma anche alle carene, per la lotta al moto ondoso )

Con la nascita della Fondazione  Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità, guidata da un veneziano come il Ministro Brunetta, con le dichiarazioni di impegno alla Sostenibilità fatte dal Sindaco Brugnaro, la città ora non ha più scuse !

Ora bisogna veramente pensare ad un percorso civico e culturale verso la transizione ecologica. Andare verso un nuovo modello di società veneziana con nuovi stili di vita, in cui l’attività antropica sia in equilibrio con la natura., dove le attività produttive siano consapevoli della sfida e tra queste,  le attività che operano con il turismo e col commercio .

Vi è il tema del decoro urbano e il tema della sensibilizzazione al mantenimento di ordine e pulizia di una città fragile ma, in primis, c’è il tema dell’inquinamento che è pericoloso, non solo per la salute dei cittadini, ma anche per i materiali con cui sono costruiti i tesori architettonici veneziani.

Per intervenire sull’inquinamento dobbiamo intervenire sui mezzi che solcano la laguna, ovvero: il trasporto pubblico, il trasporto privato , il trasporto merci, le società di servizi e di igiene urbana. Certamente anche sulle navi che arrivano e partono dal porto passeggeri e commerciale

Ovvero tutte quelle attività che si muovono sull’ acqua.

il nostro dovere è quello  di lasciare ai nostri figli e nipoti, un mondo migliore di quello che abbiamo ereditato.

Insieme si può e qui la politica può fare molto se unità e concorde sugli obbiettivi.

Se non c’è un afflato di intenzioni da parte di tutti, non si raggiungerà mai l’obiettivo.

Si parte anche da piccoli e grandi gesti quotidiani.

Si parte intanto nel capire che il problema esiste e che va risolto!

 

Paolo Bonafé

Venezia

Prenotazione per venire a Venezia

prenotazione

 

Come anticipato, il Comune conferma che a luglio partirà con la sperimentazione (per settare la piattaforma informatica) della prenotazione obbligatoria per visitare Venezia e del collegato contributo di accesso. Dal prossimo anno il sistema sarà a regime e pronto a esigere il contributo. Giustamente, si precisa che non è uno strumento per fare cassa ma di regolazione/limitazione dei flussi di visitatori giornalieri per i quali il Comune ipotizza una soglia di 40.000 con riserva di diminuirla (e per noi sarebbe auspicabile).

Vediamo come va, con fiduciosa aspettativa. Esprimiamo altresì la forte perplessità nell’escludere tutti i veneti dal pagamento del contributo di accesso perché se la misura deve essere di deterrenza è illogico che non si applichi a coloro che per ovvi motivi logistici sono i più probabili visitatori giornalieri. Crediamo che l’esclusione debba riguardare i soli residenti della Città Metropolitana. Resta inteso che la misura è una cura da cavallo emergenziale, probabilmente a questo punto inevitabile (perché i picchi di Pasqua oggettivamente non sono sopportabili), ma non basta. Grava sulla questione il numero francamente eccessivo di posti letto (82.000 ufficiali in tutto il Comune) e su questo, in particolare sull’offerta abnorme della locazione turistica, si dovrà lavorare. Ormai è un tema ineludibile, peraltro dibattuto anche in altri Comuni a forte intensità turistica. Ed è sul tavolo più di una soluzione. Parliamone in modo disteso, senza intenti punitivi verso la categoria dei locatori ma pure senza cedere a ricatti lobbistici. Da valutare in questo senso l’opportunità (suggerita dall’on. Pellicani) di inserire nella istituenda nuova Legge Speciale una legislazione specifica per Venezia.

 

Antonella Garro, Segretaria Metropolitana di Azione Venezia

Paolo Bonafè, Segretario Comunale di Azione Venezia

 

31 maggio 2022

Autorità della Laguna.. chi era costei?

autorita laguna

Per chi (comprensibilmente) si fosse ormai scordato di cosa si tratta: l’Autorità fu istituita in pompa magna nel 2020 col cosiddetto Decreto Agosto. All’Ente, “creatura” dell’on. Martella (ora Segretario Regionale del PD) si attribuivano secondo il testo del Decreto stesso “tutte le funzioni e competenze relative alla salvaguardia della città di Venezia e della sua laguna e al mantenimento del regime idraulico lagunare (..) nonché quelle già attribuite al Magistrato alle Acque”. Era ed è un’ottima idea: un’organizzazione con tutte le competenze di esercizio e gestione del MOSE, con autonomia e capacità di spesa e una governance chiara. Peccato che per due anni non se ne sia più sentito parlare, forse per la contrarietà di Brugnaro che si era molto lamentato perché poco coinvolto nella nomina del Presidente. Ora pare che si sia sbloccato la stallo grazie a una piccola modifica: il Presidente dell’Autorità sarà nominato “d’intesa” col Sindaco e non più solo “sentito” il Primo Cittadino. In più si ripristina il glorioso nome Magistrato Alle Acque. Speriamo che sia la volta buona e attendiamo ora il rapido varo dell’Autorità – Nuovo Magistrato Alle Acque. Si sono persi due anni per nulla.

 

Antonella Garro, Segretaria Metropolitana di Azione Venezia

Paolo Bonafè, Segretario Comunale di Azione Venezia

Memoria di Falcone e della strage di Capaci

falcone

30 anni fa la notizia della strage di Capaci irrompeva nella cronaca di un’Italia che stava entrando nella lunga stagione di Tangentopoli e sconvolgeva un mondo politico impegnato nella scelta del Presidente della Repubblica (venne eletto subito dopo, per effetto dello shock collettivo, Oscar Luigi Scalfaro).

La morte del giudice Falcone, della sua compagna Francesca Morvillo e degli uomini della scorta (Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco di Cillo) nonché le circostanze drammatiche dell’attentato ricordarono ruvidamente a tutto il Paese che la Mafia era e continuava ad essere un pericoloso contropotere e una minaccia grave, nonostante le centinaia di condanne subite in seguito al maxi-processo che fu il coronamento del grande lavoro di Falcone (che subì la vendetta per quel grande risultato).

Falcone combatté una guerra, non solo contro la Mafia ma pure contro un sistema opaco, che pagò con la vita. Ci piace ricordare le parole di Antonino Caponnetto “Le battaglie in cui si crede non sono mai battaglie perse”.

A Falcone, agli altri morti di Capaci e a tutte le vittime della lotta alla Mafia, il nostro dolente e riconoscente ricordo.

 

Antonella Garro, Segretaria Metropolitana di Azione Venezia in Azione

Paolo Bonafè, Segretario Comunale di Venezia in Azione

23 maggio 2022

Decoro urbano

decoro

Curare il decoro degli ambienti urbani prevenendo atti vandalici, deturpazione dei luoghi e comportamenti maleducati e irrispettosi è la più efficace misura di prevenzione contro crimini più gravi, perché crea un “contesto” di ordine e legalità che induce a comportamenti consoni. È la cosiddetta “teoria delle finestre rotte”: la finestra rotta come metafora di un ambiente che non invoglia a prendersene cura e a rispettarlo, perché tanto è già degradato.

Proprio la teoria delle finestre rotte ci dice che NON sono accettabili le teorie di bicchieri, bottiglie, cartoni di pizza ecc. che fanno triste mostra di sé fuori da certi bar. Spiace rilevare che siano proprio alcuni proprietari di ristoranti e bar a violare le norme a danno di tutti i cittadini. Ampliamenti che hanno causato e causano non pochi problemi di deambulazione ai residenti e agli stessi visitatori.

Per questi motivi, quei ristoratori e baristi che non rispettano le norme, appaiono ancor più esecrabili.

I gestori sono i primi da chiamare in causa per lo stesso principio per cui un’industria risponde dell’impatto sull’ambiente circostante. Ci sono infatti negozi artigiani che non hanno avuto diritto ad alcun plateatico e che hanno solamente come superficie di esposizione le vetrine. Per loro, il moltiplicarsi di sedie e tavolini, significa perdere ulteriormente visibilità, così come il danno procurato da coloro che non rispettano le regole di esposizione della merce: a Rialto, dopo anni di discussioni per il decoro, furono predisposte vetrine espositive con la Soprintendenza, ora completamente ricoperte di prodotti.

Pertanto in primis bisogna far ricorso alla buona volontà dei veneziani di denunciare prontamente alla Polizia Municipale e a Veritas gli abusi di cui sopra e alla stessa Polizia Municipale di fare ronde continue per il decoro urbano. L’immagine di una città deturpata non è un buon biglietto da visita Si presidi il territorio con ronde costanti per prevenire e eventualmente sanzionare. Anche il compito di controllo è una delle responsabilità che si deve assumere chi governa la città.

Paolo Bonafè, Segretario Comunale di Azione Venezia

23 maggio 2022

Nuovo Rifugio per cani di San Giuliano

2022-05-21 Gazzettino Nuovo rifugio per cani

Ogni tanto fa piacere registrare anche buone notizie: è stato completato nei tempi previsti il Rifugio per cani di San Giuliano dove troveranno casa (si spera temporanea perché l’obiettivo è quello di trovare famiglie che li adottino e diano loro tutto l’amore che meritano) fino a 66 pelosi a quattro zampe. È una struttura prevista da tempo in sostituzione della precedente fatiscente struttura e va ad aggiungersi ai due gattili di Forte Marghera (i Mici del Forte e il rifugio ENPA) e a quello di Malamocco, gestito dalla Dingo. Tutte strutture che si sostengono del lavoro di volontari a cui va la nostra grande riconoscenza per la passione e un lavoro oscuro e poco riconosciuto (molto più chic fondare un Comitato che protesta per qualcosa).

Il rifugio è costato 1.400.000 € e ci aspettiamo ora l’immancabile canea di obiezioni perché quei denari andavano spesi per altre finalità, altro che gli animali. Noi al contrario siamo felici che nella nostra città vi è una rete e un’organizzazione di prim’ordine per l’accoglimento dei randagi e ricordiamo che la civiltà di un popolo si misura (anche) da come sono trattati gli animali, come ebbe a dire Gandhi.

Ricordiamoci di queste organizzazioni meritorie – anzi eroiche – che si sostentano nella maggior parte da sole quando compiliamo il 730 e dobbiamo scegliere a chi devolvere il 5 per mille. Per esempio ENPA ha CF 80116050586, Dingo Venezia CF 94009850275.

E in tema di 730, ricordatevi naturalmente di indicare il codice S48 per devolvere il 2 per mille ad Azione.

 

Antonella Garro, Segretaria Metropolitana di Azione Venezia

Paolo Bonafè, Segretario Comunale di Azione Venezia

Sinodo e sinodalità quali esperienze ecclesiali e spirituali

Sinodo e sinodalità quali esperienze ecclesiali e spirituali

Anche nella mia parrocchia, ci si interroga sulla proposta di Sinodo e sulla Sinodalità, ovvero di un cammino comune verso una nuova chiesa. La parola Sinodo, che proviene dal greco, significa “camminare insieme”. Papa Francesco ci esorta, indicandoci la strada, spiegandoci che il Sinodo è “il metodo del cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”. E ancora Papa Francesco ha affermato che “La sinodalità, è dimensione costitutiva della Chiesa”, così che “quello che il Signore chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola sinodo”. Siamo quindi tutti chiamati ad un grande cammino di riflessione, ascolto, racconto e sogno per il futuro, che durerà alcuni anni e che punterà al rinnovamento del modo di essere Chiesa. Il Sinodo è di per sé un’esperienza ecclesiale e spirituale. Ecclesiale perché l’essere Chiesa implica sempre la disponibilità a camminare insieme, ovvero significa condividere una visione, una prospettiva che ci attrae e ci guida ad individuare le tappe e le modalità (processi) che attivino un cambiamento duraturo ed efficace. Spirituale perché è un’esperienza ispirata dallo Spirito Santo e conserva, pertanto, un margine ampio di apertura e imprevedibilità, caratteristiche dello Spirito, che soffia e va dove vuole. Sinodo quindi significa: diritto e potere di parola affidato a tutti.  La capillarità del Sinodo è legata ad un atteggiamento dell’ascolto, al permettere ad ogni credente e battezzato di portare il proprio contributo di pensiero. Ogni parola, che mette in circolo l’esistenza di ciascuno e il Vangelo, è preziosa, è un dono che rinnova e qualifica il discernimento dell’intero popolo di Dio. Con il Sinodo dobbiamo attivare processi di cambiamento che siano frutto di ascolto e di discernimento. Il Sinodo non guarda solo le questioni immediate, ma rivolge il suo sguardo a ciò che siamo chiamati a diventare nel medio-lungo periodo, nelle questioni che ci interpellano, nelle nostre decisioni e nella nostra capacità di scegliere insieme tenendo fede alla fedeltà al Signore e nella comunione. Perché sia un Sinodo “ricco di frutti” necessita che si attivino processi di cambiamento che siano in grado di coinvolgere tutti i soggetti ecclesiali e che ci permetta di annunciare, sempre, a partire da oggi e da qui, la gioia del Vangelo.

Paolo Bonafè SME Lido

Quale Sinodalità per quale chiesa

l Sinodo sulla sinodalità in corso è una tappa fondamentale del cammino della Chiesa nel Terzo Millennio. Un documento recente della Commissione Teologica Internazionale apre uno spaccato sulla visione di Papa Francesco.

Da pochi giorni ha avuto inizio il sinodo sulla sinodalità. Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”: questo l’impegno programmatico proposto già da Papa Francesco nella commemorazione del cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi. La sinodalità, infatti, afferma Francesco, è dimensione costitutiva della Chiesa”, così che “quello che il Signore chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola sinodo”.

Un importante documento recentemente prodotto dalla Commissione Teologica Internazionale (2 marzo 2018), dal titolo La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa”, offre significativi spunti di riflessione a riguardo.

Il documento, in particolare, intende offrire alcune linee utili sull’approfondimento teologico del significato di suddetto impegno insieme a qualche orientamento pastorale circa le implicazioni che ne derivano per la missione della Chiesa. Il documento si suddivide in capitoli, ovvero:

1 Capitolo) risalire alle fonti normative della Sacra Scrittura e della Tradizione per mettere in luce il radicamento della figura sinodale della Chiesa nel dispiegarsi storico della Rivelazione e per evidenziare i fondamentali connotati e gli specifici criteri teologici che ne definiscono il concetto e ne regolano la pratica. Le fonti normative della vita sinodale della Chiesa nella Scrittura e nella Tradizione attestano che, al cuore del disegno divino di salvezza, risplende la vocazione all’unione con Dio e all’unità in Lui di tutto il genere umano che si compie in Gesù Cristo e si realizza attraverso il ministero della Chiesa. Esse offrono le linee di fondo necessarie per il discernimento dei principi teologici che debbono animare e regolare la vita, le strutture, i processi e gli eventi sinodali. Su questa base, si tratteggiano le forme di sinodalità sviluppate nella Chiesa nel corso del primo millennio e poi, nel secondo millennio, nella Chiesa cattolica, richiamando alcuni dati circa la prassi sinodale vissuta nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali. L’Antico Testamento attesta che Dio ha creato l’essere umano, uomo e donna, a sua immagine e somiglianza come un essere sociale chiamato a collaborare con Lui camminando nel segno della comunione, custodendo l’universo e orientandolo alla sua meta (Gen 1,26-28). Sin dal principio, il peccato insidia la realizzazione del progetto divino, infrangendo la rete ordinata di relazioni in cui si esprimono la verità, la bontà e la bellezza della creazione e offuscando nel cuore dell’essere umano la sua vocazione. Ma Dio, nella ricchezza della sua misericordia, conferma e rinnova l’alleanza per ricondurre sul sentiero dell’unità ciò che è stato disperso, risanando la libertà dell’uomo e indirizzandola ad accogliere e vivere il dono dell’unione con Dio e dell’unità con i fratelli nella casa comune del creato (cfr. ad es. Gen 9,8-17; 15; 17; Es 19–24; 2Sam 7,11).

2 Capitolo) proporre i fondamenti teologali della sinodalità in conformità alla dottrina ecclesiologica del Vaticano II, articolandoli con la prospettiva del Popolo di Dio pellegrino e missionario e con il mistero della Chiesa comunione, con riferimento alle proprietà distintive dell’unità, santità, cattolicità e apostolicità della Chiesa. Da ultimo si approfondisce il rapporto tra la partecipazione di tutti i membri del Popolo di Dio alla missione della Chiesa e l’esercizio dell’autorità dei Pastori. L’insegnamento della Scrittura e della Tradizione attesta che la sinodalità è dimensione costitutiva della Chiesa, che attraverso di essa si manifesta e configura come Popolo di Dio in cammino e assemblea convocata dal Signore risorto. Nel primo capitolo si è evidenziato, in particolare, il carattere esemplare e normativo del Concilio di Gerusalemme (At 15,4-29). Esso mostra in atto, a fronte di una sfida decisiva per la Chiesa delle origini, il metodo del discernimento comunitario e apostolico che è espressione della natura stessa della Chiesa, mistero di comunione con Cristo nello Spirito Santo[43]. La sinodalità non designa una semplice procedura operativa, ma la forma peculiare in cui la Chiesa vive e opera. In questa prospettiva, alla luce dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, questo capitolo mette a tema i fondamenti e contenuti teologali della sinodalità..

3 Capitolo) operare in riferimento all’attuazione concreta della sinodalità ai vari livelli, nella Chiesa particolare, nella comunione tra le Chiese particolari in una regione, nella Chiesa universale; L’intelligenza teologica della sinodalità nella prospettiva ecclesiologica del Concilio Vaticano II invita a riflettere sulle modalità concrete della sua attuazione. Si tratta di recensire, a grandi linee, ciò che è attualmente previsto dall’ordinamento canonico per evidenziarne il significato e le potenzialità e darvi nuovo impulso, discernendo al contempo le prospettive teologiche di un suo pertinente sviluppo. Il presente capitolo prende le mosse dalla vocazione sinodale del Popolo di Dio per poi descrivere le strutture sinodali a livello locale, regionale e universale, menzionando i diversi soggetti implicati nei processi e negli eventi sinodali.

4 Capitolo) far riferimento alla conversione spirituale e pastorale e al discernimento comunitario e apostolico richiesti per un’autentica esperienza di Chiesa sinodale, apprezzandone i positivi riflessi nel cammino ecumenico e nella diaconia sociale della Chiesa. Ed è proprio sul quarto capitolo, dal titolo “La conversione per una rinnovata sinodalità”, che intendiamo qui brevemente soffermarci. La sinodalità è ordinata ad animare la vita e la missione evangelizzatrice della Chiesa in unione e sotto la guida del Signore Gesù che ha promesso: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro»(Mt 18,20), «ecco Io sono con voi sino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Il rinnovamento sinodale della Chiesa passa senz’altro attraverso la rivitalizzazione delle strutture sinodali, ma si esprime innanzi tutto nella risposta alla gratuita chiamata di Dio a vivere come suo Popolo che cammina nella storia verso il compimento del Regno. Di tale risposta si prendono in rilievo in questo capitolo alcune specifiche espressioni: la formazione alla spiritualità di comunione e la pratica dell’ascolto, del dialogo e del discernimento comunitario; la rilevanza per il cammino ecumenico e per una diakonia profetica nella costruzione di un ethos sociale fraterno, solidale e inclusivo.

Quindi riassumendo, il documento, in particolare, evidenzia come la conversione pastorale per l’attuazione della sinodalità esige che alcuni paradigmi spesso ancora presenti nella cultura ecclesiastica siano superati, perché esprimono una comprensione della Chiesa non rinnovata dalla ecclesiologia di comunione. Tra essi il documento contempla: la concentrazione della responsabilità della missione nel ministero dei Pastori; l’insufficiente apprezzamento della vita consacrata e dei doni carismatici; la scarsa valorizzazione dell’apporto specifico e qualificato, nel loro ambito di competenza, dei fedeli laici e tra essi delle donne.

In questo senso, la grande sfida per la conversione pastorale che ne consegue per la vita della Chiesa oggi è intensificare la mutua collaborazione di tutti nella testimonianza evangelizzatrice a partire dai doni e dai ruoli di ciascuno, senza clericalizzare i laici e senza secolarizzare i chierici, evitando in ogni caso la tentazione di un eccessivo clericalismo che mantiene i fedeli laici al margine delle decisioni.

“Camminare insieme – insegna Papa Francesco – è la via costitutiva della Chiesa”. Che il sinodo sulla sinodalità possa davvero raggiungere tale intento.

Paolo Bonafè