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L’intelligenza artificiale in aiuto della scienza per combattere le pandemie

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Ora che la Pandemia legata al Covid 19 sta trovando, a livello internazionale, una condivisa linea di intervento basata sui vaccini, ma anche su cure mediche sperimentali, gli scienziati stanno discutendo come cercare di prevenire in futuro gli stessi problemi e modalità, ovvero come in questo tempo globalizzato, si possa consentire ai ricercatori di bloccare eventuali e prevedibili nuove pandemie. L’innovazione tecnologica potrebbe rappresentare un valido aiuto e per questo si comincia a parlare di applicare l’intelligenza artificiale alla lotta contro il COVID-19, anche se per gli strumenti ora disponibili e per l’attuale diffusione mondiale, questo non sembra ancora praticabile. In cosa consiste l’intelligenza artificiale (IA)? La definizione è quella dell’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività. Ovvero L’intelligenza artificiale permette ai sistemi di capire il proprio ambiente, mettersi in relazione con quello che percepisce e risolvere problemi, e agire verso un obiettivo specifico. Il computer riceve i dati (già preparati o raccolti tramite sensori, come una videocamera), li processa e risponde. I sistemi di IA sono capaci di adattare il proprio comportamento analizzando gli effetti delle azioni precedenti e lavorando in autonomia. Sembra fantascienza ma invece è già una realtà. L’esperienza che si sta maturando a livello Mondiale potrà essere utile per imparare a fronteggiare in modo efficace la prossima epidemia. Attraverso l’IA i ricercatori possono infatti combinare e analizzare enormi quantità di dati in tempi estremamente rapidi, consentendo così di velocizzare lo studio di nuovi farmaci e nuovi approcci.

L’esempio del COVID-19 è importante: in pochi mesi dall’inizio degli studi sulla malattia, gli scienziati sono stati in grado di isolare il virus e sperimentare cure e vaccini, dei quali ancora non conosciamo bene l’efficacia, o meglio la durata, infatti si parla in questi giorni di terza dose. Se i dati fossero stati elaborati con sistemi di intelligenza artificiale, forse i tempi sarebbero stati ancora più rapidi. Mi ha colpito un testo nel quale si citava mr. Andrew Hopkins, CEO della startup Exscientia Ltd., il quale affermava che se si utilizzasse l’intelligenza artificiale le ricerche potrebbero essere fino a 5 volte più rapide rispetto ad oggi e potrebbero permettere di introdurre in commercio un nuovo farmaco in soli 18-24 mesi. La sua azienda ha studiato, in particolare, l’utilizzo dell’IA per la ricerca di un trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo e, ad un anno dall’inizio delle ricerche, la cura è pronta per essere testata in laboratorio. Un approccio simile è adottato anche dalla società Healx, che sfrutta tecnologie di “machine learning” per trovare nuovi utilizzi di famaci esistenti. Quindi l’Intelligenza artificiale diventerà uno strumento importante per gli scienziati anche se ritengo che la stessa non debba sostituire la loro opera perché comunque questa è appunto necessaria come guida. Il ruolo degli scienziati dovrà però mutare e specializzarsi a metà tra biologia ed elettronica, con acquisizioni di competenze tecniche specialistiche molto avanzate: non basterà essere un ingegnere specializzato in intelligenza artificiale, ma occorreranno anche conoscenze biologiche approfondite.

 

Paolo Bonafè

Il nostro Futuro dipende dalla transizione ecologica

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Domani 20-09-2021 lettera il nostro futuro dipenda dalla transizione ecologica

Il processo, connesso  alla transizione ecologica, esige  profondi cambiamenti dei nostri quotidiani stili di vita, dell’attuale  modello di  sviluppo economico e di pianificazione, secondo un approccio innovativo, fondato sull’ apprendimento, rivolto alla pluralità di attori in campo.

Ma la Transizione ecologica, cos’è veramente?

Ne parla spesso la fondatrice dei Fridays for Future, Greta Thunberg, al punto che,  la visibilità della giovane attivista e la sua  capacità di mobilitare l’opinione  pubblica mondiale,   hanno introdotto questo termine nel linguaggio internazionale  della politica.  

La transizione ecologica  attiene ad un cambio di paradigma nella politica, nell’economia e nella società, non afferisce, quindi,ad una generica  tutela ambientale,ma richiede un cambiamento radicale . Il vero obbiettivo è, infatti, I’ incidere profondamente  nei processi di produzione e nei modelli di consumo. Azzerare le emissioni di CO2, comporta una rivoluzione : abbandonare  i combustibili e le materie prime oggi in uso, arrestare il consumo del territorio, procedere alla riqualificazione urbana  secondo i principi della bioedilizia,  trasformare  i nostri stili alimentari, implementare in maniera esponenziale la piantumazione di alberi. 

Centrale diventa il tema del consumo delle risorse, secondo l’approccio dell’economia  circolare, capace di garantire lunga vita alle materie prime. Gli scienziati segnalano incessantemente la sempre più vicina catastrofe ambientale, per cui assistiamo  ad una crescente attenzione da parte dei cittadini e delle  imprese al tema, con interessanti esperienze di nicchia, ma è presente il rischio che tale sensibilità si esaurisca in enunciazioni di principio, mentre dobbiamo invertire immediatamente  la rotta del nostro modello economico.

Per quanto concerne l’Italia,  il governo Draghi  ha la grande responsabilità di avviare questo processo di cambiamento, in quanto chiamato a  gestire i fondi europei del Next Generation Eu (o Recovery Fund) che in buona parte sono vincolati al “Green New Deal”, un piano per la conversione ecologica della stessa economia. Da come investiremo questi soldi e dai nostri comportamenti personali futuri, arriverà la vera svolta per la sopravvivenza del pianeta Terra.

 

Paolo Bonafè 

Lido di Venezia

Per fermare la violenza sulle donne si deve partire da tre azioni concrete

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Anche la giornata di ieri è stata funestata da un femminicidio, che riporta la drammaticità di questa “guerra” perpetrata nei confronti delle donne, da una parte della popolazione maschile legata ad antiche logiche di disuguaglianza sociale e di donna oggetto, Nel mondo la violenza contro le donne interessa 1 donna su 3. In Italia i dati Istat mostrano che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici, quindi la cerchia più intima. Sempre Istat 2020 ci dice che 6 milioni e 788 mila donne hanno subìto, nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale, che il 20,2% (pari a 4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, che il 21% (pari a 4 milioni 520 mila) violenza sessuale e il 5,4% (pari a 1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). Questi dati sono sconvolgenti.  Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera dei partner o ex. Gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali (76,8% fra tutte le violenze commesse da sconosciuti). Le donne straniere hanno subìto violenza fisica o sessuale in misura simile alle italiane nel corso della vita (31,3% e 31,5%). Per fermare tutto ciò si devono fare tre azioni concrete: la prima è quella di favorire l’indipendenza economica delle donne, perché è la base di scelte consapevoli e autonome; la seconda di rimettere mano alle strutture sociali, a quella costellazione di sostegni territoriali alle famiglie (soprattutto in presenza di bambini) che i lockdown hanno rivelato fragili se non assenti e la terza di combattere insieme contro i pregiudizi inconsapevoli, quelli che continuano a muoversi nell’oscurità del corpo sociale e dei nostri corpi individuali, quelli che influenzano le nostre aspettative di genere e vanno poi a modellare le abitudini, le (cattive) pratiche, le istituzioni. Sono più potenti degli stereotipi, dei quali abbiamo almeno imparato a dibattere.

Paolo Bonafè

Lido di Venezia

Attendiamoci uno Tsunami di migliaia di disperati in fuga dalle guerre

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Oramai è evidente che pensare all’emergenza profughi, come solo quella collegata agli sbarchi e salvataggi in mare di persone, che scappano dalle atrocità delle guerre e dalla fame in africa, è riduttivo, rispetto alla tragedia immane che sta interessando larghe parti del Mondo e che travolgerà, purtroppo, come uno tsunami l’Europa e quindi anche l’Italia. Nel nostro Paese, le scelte politiche fatte dai governi precedenti hanno indebolito, se non distrutto, il sistema di “prima accoglienza”, che era già in crisi, riducendo la nostra capacità di accoglienza in termini qualitativi e quantitativi. Le drammatiche immagini che abbiamo ancora negli occhi dell’aeroporto di Kabul, assediato da migliaia di disperati alla ricerca di una via di fuga, rischiano di essere soltanto il prologo di un dramma pronto, entro poche settimane, a replicarsi alle porte dei nostri confini orientali e a quelli di Austria e Germania. Basti pensare alle centinaia di migliaia di rifugiati afghani che stanno attraversando l’Iran e Turchia per risalire lungo la rotta balcanica ed arrivare in Europa, e sarà ben difficile respingere quei migranti trattandoli da semplici «irregolari». E non solo perchè fuggono dall’odio e dall’intolleranza talebana, ma anche, e soprattutto, perchè li abbiamo abbandonati, dopo aver promesso loro, per vent’anni, democrazia e rispetto dei diritti umani.. Necessita la capacità della Ue di trattare con tutti i paesi allineati lungo la rotta della disperazione afghana: dall’Iran, alla Turchia, fino alla Grecia e ai paesi della ex Jugoslavia, perché vi sia un progetto e una strategia comune sull’ accoglienza, dato che  l’emergenza nascerebbe soprattutto dall’incapacità di accogliere e di integrare, ovvero di fornire strumenti per emanciparsi dal bisogno dell’accoglienza e per costruirsi una vita autonoma all’insegna della dignità e della legalità.

Paolo Bonafè

Lido di Venezia

Perché il PUMS VE-2030 ( Piano Urbano di Mobilità Sostenibile ) è strategico per la città

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Sono stati assegnati Al Comune di Venezia, grazie al DM 171/2019 ( Fondo Progettazione Opere Prioritarie del MIT) 1.393.672,00 di euro. Per investire questi soldi il Comune ha predisposto 12 interventi, dei quali, il n.2,  riguarda il Nuovo Hub Terra-Acqua in area San Giuliano inserito nel PUMS VE2030 (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile). Concentrandosi sull’aspetto puramente tecnico, questo progetto è la realizzazione di quanto anche da me auspicato fin dalla mia esperienza di consigliere comunale nel 2000, ovvero quella di dotare Venezia di accessi diversificati che possano, appunto, deviare il traffico dal Ponte della Libertà ad aree di interscambio poste ai due lati del ponte. I Famosi terminal di Cacciariana memoria.

Nell’area di San Giuliano, il progetto Arch.Di Mambro di riconversione dell’area è rimasto monco ed è stato realizzato solo il Parco e il Polo Nautico, mentre per il terminal acqueo è stato fatto solo un timido tentativo di collegamento con San Giobbe. L’altra sponda del ponte, ovvero l’area dei PILI,  ha visto continui blocchi al progetto di riconversione, perché area acquistate da privati ed oggi oggetto di accesa discussione politica. Tutto questo produce perdite di tempo e ritardi nella realizzazione di quelle opere infrastrutturali, che necessitano per diversificare, ottimizzare, contingentare  i flussi turistici e di accesso/uscita. Queste due sponde in testa al ponte sono strategiche per aprire almeno due vie di collegamento con Venezia e creare un sistema circolare di collegamenti ed è appunto questo che il PUMS prevede.

Il Documento DRP collegato al PUMS descrive gli interventi per il nuovo terminal, (suddiviso tra parte nord e sud), specificando che :” All’interno del nuovo terminal …..   dovranno confluire servizio di trasporto pubblico locale ferroviario, tramviari, automobilistici e di navigazione, tra loro interconnessi da percorsi ciclabili e pedonali, consentendo di accedere alla Venezia insulare attraverso nuovi itinerari in partenza dalla gronda lagunare e permettendo di ridurre il carico veicolare lungo il Ponte della Libertà . Lo sviluppo di nuovi servizi acquei in partenza dal nuovo Terminal, con una diversificazione dei rispettivi approdi a Venezia, consentirà di ridurre l’affollamento della testa est del Ponte, Piazzale Roma, dove oggi confluisce la maggior parte dei visitatori…” Appunto l’obbiettivo è quello di creare un collegamento Veloce ( Fast) con imbarcazioni capienti da San Giuliano verso San Giobbe, F.te Nuove fino al Lido e l’altro in senso circolare dal Lido verso San Basilio,  con rottura di carico, da una parte verso Fusina, e dall’altro verso i Pili. Mentre resterebbe un servizio Lento ( Slow) interno al Canal Grande con mezzi a basso impatto ambientale. Ora vorrei vedere chi, onestamente non approvi una revisione di tale portata dei servizi di trasporto, visto che nei nuovi terminal arriveranno il Tram e il treno per un collegamento veloce con la stazione, Mestre e in futuro con l’Aeroporto, utile non solo ai turisti ma anche alle migliaia di pendolari che ogni giorno si muovono.

 

Paolo Bonafè     

Già Consigliere Comunale Venezia

Tornelli… anche Si

Gazzettino - 2021-09-11 Lettera su Tornelli

 

Gazzettino - 2021-09-08 lettera su tornelli.pdf

++ Venezia, installati tornelli per deviare turisti ++venezia-tornelli-ape-1010

Il tema turismo di massa e di come regolamentare gli accessi in città ritorna ad essere il problema primario della città, dopo la pandemia.  In tutti questi anni, molti si sono cimentati in proposte e valutazioni, ma nessuno è mai stato in grado di proporre un qualcosa di veramente risolutivo. Ora, il Comune di Venezia lancia la proposta di creare dei blocchi di accesso con dei tornelli, da posizionarsi in alcuni punti strategici della città e la creazione di una app per prenotarsi la visita in città. Tale proposta che sembrerebbe una valida soluzione, trova una opposizione, oltre che politica, anche da parte dell’assessore Regionale al Turismo e del Ministro della Cultura, i quali sono concordi che il problema esista ma non gli va bene la metodologia, accusando che così facendo la città diventa a numero chiuso.

Personalmente ritengo questa motivazione risibile anche perché la sperimentazione era già stata fatta dal Comune durante il Carnevale 2019 e aveva dato un buon esito, ma poi si era fermata a causa dal Covid-19. Le modalità di prenotazione e di pagamento dell’accesso sono previste tramite sistemi informatici, oramai di uso comune, come quello di un app sul cellulare. Basti pensare che i dati degli accessi in città del 2019 erano di circa 110 mila visitatori giorno e con questi numeri la città si bloccava. Già questa estate (della ripartenza) si sono già toccate le 85 mila presenze il 5 agosto e le 80 mila il 18 agosto; sono numeri importanti,  se si sommano ad un pendolarismo lavorativo di almeno 10 mila persone giorno.

Inoltre, il sistema proposto dal Comune è molto semplice e high tech: basterà avvicinare il proprio cellulare con prenotazione e pagamento o smartcard ad un lettore sul tornello per essere ammessi in città. Unitamente al progetto tornelli vi è quello di  implementazione delle telecamere presenti in città con nuove ad alta definizione, da mettere  a disposizione della Smart Control Room del Tronchetto, così da controllare ogni angolo della città. Quindi non capisco le critiche al progetto visto che si andrebbe a rendere più sicura la città e a contingentare gli arrivi, “educando” i turisti alla prenotazione. Aspetto non secondario è quello che si potrebbero finalmente creare più porte di accesso alla città, grazie a nuovi collegamenti diretti via acqua dalla terraferma, deviando così i flussi di attraversamento della città e andando a rivitalizzare zone ora meno “frequentate” dai turisti e non ultimo si potrebbe creare anche una black list, che blocchi in accesso chi abusa o non rispetta il decoro e la pulizia della città.  Quindi per me ben vengano i tornelli, se questo servirà per preservare la città

 

Paolo Bonafè

Venezia 06/09/2021

 

Cosa può fare l’Italia per il popolo afgano

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Quello che sta avvenendo in Afganistan è purtroppo l’epilogo di una politica internazionale sbagliata, guidata dagli Stati Uniti, ma che ha visto grandissimi errori anche da parte degli europei. L’occidente, nonostante il cospicuo investimento economico e militare e nel caso Italia, il riconosciuto ruolo che ha visto anche la perdita di preziose vite umane, sta perdendo la sua credibilità sul piano geopolitico e morale

Le scene che ci arrivano dai mass media rappresentano una sconfitta! C’è ora un solo modo per salvare il salvabile e la nostra dignità di Nazione. Per l’Afganistan non possiamo fare più nulla, ma possiamo fare ancora molto per i singoli cittadini afgani. La prima cosa è far entrare in Italia tutti quelli che hanno collaborato a vario titolo con il contingente italiano, altrimenti li lasciamo a morte certa, a seguito delle rappresaglie che ci sono e ci saranno (ogni guerra non insegna purtroppo mai nulla, perché le scene si ripetono come un triste copione purtroppo già visto anche da noi dopo il 1943 ). Sono quindi da sospendere la richiesta di visti di accesso e implementare il ponte aereo già attivato. Più in generale, occorre aprire corridoi umanitari mirati, in particolare per le giovani donne, per le minoranze etniche, per gli  attivisti e le  attiviste per la libertà. Sono molteplici le organizzazioni in italia che si sono rese disponibili, dal volontariato civile, ad organizzazioni legate alla Chiesa Cattolica e Valdese, vi sono anche  organizzazioni islamiche. Si tratta di riprendere idealmente quello che è già stato fatto in passato per i boat people vietnamiti, quando abbiamo mandato la flotta a recuperarli. Le reti di famiglie, associazioni e ONG sono le forme si sostentamento ed assistenza più vicine e pronte a mettersi fin da subito a disposizione per collaborare per l’ospitalità, raccolta fondi, corsi di lingua, inclusione in attività associative etc. Si tratta di agevolare la gestione di queste iniziative, più che attivarle. Infine sarà da sostenere anche i cooperanti e le associazioni italiane presenti nel paese, tra cui gli ospedali di Emergency e chi lavora nel campo dell’accoglienza e difesa delle donne. Inutile spendere soldi in operazioni di pace che sono poi di guerra, bisogna mirare alla difesa del singolo, di chi ha bisogno. Degli ultimi!

Venezia, 20 agosto 2021

Paolo Bonafè

Lido di Venezia

La leadership futura non potrà prescindere dal benessere delle persone

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Dopo gli sconvolgimenti causati dalla crisi del COVID-19, le aziende stanno cercando di riprendersi e, cosa più importante, di prepararsi ed organizzarsi per il futuro.

Il 2020 ha fatto rimettere in discussione le tradizionali premesse su cui si fondano l’operatività delle aziende e la vita delle persone. Le aziende si sono rese conto della fragilità della loro rete fornitori, della loro vulnerabilità ai mercati e delle nuove esigenze dei clienti. Nell’adattarsi a questa nuova realtà, molte di esse si sono orientate al cambiamento delle loro metodologie commerciali. La tecnologia poi ha avuto un avvento su tutto ciò che è commerciale, basti pensare agli acquisti on line, che sono aumentati a dismisura, o allo stesso smart working.

È ormai palese che non esiste leadership senza leadership tecnologica. La recente rapida accelerazione digitale ha fatto della tecnologia la base della leadership globale.

Le aziende hanno anche appreso che leader non aspettano la “nuova normalità” ma la creano. I profondi cambiamenti richiedono un progetto coraggioso e un ruolo di primo piano per la tecnologia. Non si tratta solo di far ripartire il business ma di sfidare le convenzioni ed elaborare una nuova visione per il futuro.

In questo futuro, le aziende sono in grado di generare un significativo impatto sul mondo; il successo finanziario costituirà solo un aspetto della leadership. È un’occasione unica per ricostruire un mondo migliore di quello pre-pandemia. Ciò significa ampliare la definizione di valore, includendovi anche il benessere delle persone, l’impatto sull’ambiente, una maggiore inclusività e altro ancora.

All’orizzonte si profila un futuro diverso da quello che il mondo si aspettava. Mentre tale futuro prende forma, non ci sarà spazio per chi resta ancorato al passato. Meglio essere spettatori o protagonisti del cambiamento? Le persone sono pronte per qualcosa di nuovo ed è arrivato il momento che le aziende si adeguino. Let there be change.

Paolo Bonafè

Lido di Venezia

La sostenibilità ambientale unita alla sostenibilità economica per dare un futuro ecocompatibile all’Europa e a Venezia

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In questi giorni si svolge a Venezia la seconda edizione della “Soft Power Conference”, luogo di incontro e di dialogo dove confrontarsi sui temi di sostenibilità ambientale (ricerca di soluzione sui rischi dei cambiamenti climatici) ma anche per trattare su quale “sviluppo sostenibile” sia possibile, ovvero quale strumento economico può essere messo in atto per soddisfare i bisogni della generazione attuale, senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere ai loro (Definizione riportata nel rapporto della Commissione Brundtland del 1987). Questi due bisogni vanno a braccetto perché non vi può essere una sostenibilità ambientale se non la si coniuga con una sostenibilità economica. La base giuridica delle strategie per lo sviluppo sostenibile è l’articolo 3 del Trattato sull’Unione Europea (TEU), che afferma la responsabilità interna ed esterna dell’UE alla salvaguardia di questo principio. La necessaria connessione  tra le politiche e l’integrazione di esse è solidamente ancorata agli articoli 7 e 11 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFEU), che esigono l’integramento della protezione ambientale in tutte le aree di intervento politico. Nelle sue revisioni biennali, Eurostat fornisce i dati sull’andamento degli indicatori di sostenibilità. La revisione del 2009 mostrava come non ci fossero state, nel complesso, riduzioni nell’emissione dei gas serra tra il 2000 e il 2007: la quantità emessa dall’industria energetica era addirittura aumentata del 7.5%. Nonostante il consumo di energia rinnovabile avesse visto un aumento del 7.6%, ciò era ancora ben lontano dal raggiungimento del 12% stabilito come target per il 2010. Il PIL era aumentato annualmente del 1.8% fino al 2007, quando venne duramente colpito dalla crisi finanziaria che ne causò una decrescita del 4% nel 2009. Il rapporto evidenziava quindi la persistenza di tendenze non sostenibili all’interno dell’economia. La transizione verso un sistema a basso consumo e a basse emissioni si era dimostrata difficile e necessitava l’introduzione di interventi più specifici e ambiziosi nelle strategie future. Ad oggi questo dato purtroppo non è cambiato nel suo trend negativo

A livello mondiale, l’UE segue l’Agenda 2030.  Lo scopo di tale Agenda è quello di stabilire un approccio globale all’impegno nell’eradicazione della povertà e al raggiungimento dello sviluppo sostenibile, in modo da non lasciare nessuno indietro nel processo. In tale agenda sono previsti 17 SDGs (Sustainable Development Goals),  ovvero obbiettivi e misure,  mirati all’eradicazione della povertà, alla sconfitta delle disuguaglianze e alla battaglia contro il cambiamento climatico. L’Agenda cerca di integrare le tre aree di intervento: quella ambientale, quella sociale, quella economica e dovrebbe essere attuata nella sua interezza. La via d’uscita dall’attuale crisi dovrebbe basarsi quindi su un progetto coordinato con la sostenibilità al proprio centro. Il Recovery Fund dovrebbe essere dedicato ad una ripresa verde, digitale e giusta. Gli investimenti e la riduzione dei debiti confluiranno nei paesi che ne hanno più bisogno, rilanciando l’economia, ma in modo sostenibile. Venezia è l’anello debole del problema climatico, perché se non si interverrà fra 50 anni la città potrebbero ritrovarsi sott’acqua, quindi il tema è vitale e non più rimandabile e Venezia è la sede idonea perché internazionale e perchè da qui possono partire spunti interessanti.

Paolo Bonafè

Lido di Venezia

Progetto di nuovo porto passeggeri a Dogaletto, valida alternativa

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Progetto di nuovo porto passeggeri a Dogaletto, valida alternativa

 La notizia data dal nuovo Port Autority, Dr. Di Blasio, sulla ripartenza da settembre di alcune navi da crociera da Venezia Fusina, ritorna a dare speranza ad un settore, quello legato alla crocieristica, che in questi due anni è stato segnato una profonda crisi economica e occupazionale, legata anche ad una azione repulsiva da parte della città verso tutto ciò che riguardava le navi o grandi navi,come si usa dire.

La posizione,assunta dal Governo di vietare il passaggio delle grandi navi per il bacino di San Marco, in assenza di chiare soluzioni alternative, ha dato il colpo finale. Ora, Di Blasio cerca di rilanciare il settore puntando su Fusina, dove attualmente sono operative due banchine e un terminal che serve le Autostrade del Mare con la Grecia, con arrivo max di due navi giorno.

Nel Progetto Fusina Moranzani  c’è la possibilità, ora operativa, di costruire ulteriori due banchine, ma ad  oggi l’intera area infrastrutturale non è ancora pronta per un accesso di massa di turisti , sia in termini di viabilità, sia in termini  di collegamenti acquei da e per la città storica, che avverrebbe tramite il terminal acqueo di punta Fusina. 

Tra la pluralità di proposte, per garantire l’arrivo delle grandi navi a Venezia, ne esiste una che, a mio avviso, risulterebbe meno invasivo e più funzionale, si tratta del progetto presentato anni fa dalla VTP, che prevederebbe una nuova Stazione Marittima a Dogaletto, in cassa di colmata A. La Venezia Terminal Passeggeri, la società delle crociere, aveva presentato lo studio di fattibilità per una nuova Stazione Marittima nel Bacino Sant’Angelo, tra i canali Avesa e Dogaletto», definendolo «Un luogo ideale, perché ben servito dai collegamenti stradali e vicino al canale dei Petroli, senza rischi ambientali». Il progetto era per una nuova città delle crociere che diventava «aggiuntiva» e non  alternativa alla Marittima.

Il progetto prevedeva banchine lunghe 400 metri e larghe 20, per ospitare le navi di ultimissima generazione (lunghe fino a 360 metri), troppo grandi anche per i sostenitori del traffico davanti a San Marco e una Stazione marittima di due piani, 10 mila metri quadrati con un parcheggio da 5 ettari. Costo allora previsto di 100 milioni di euro, di cui almeno 60 per scavare canali e darsena.

La Regione aveva valutato positivamente il progetto, tanto da inserirlo nel Piano territoriale.  Forse è  tempo di recuperare tale progetto, meno invasivo e impattante di altri oggi allo studio e reso fattibile dalle risorse del ricovery plan.

Paolo Bonafè