I primi dati sugli esiti della sua applicazione, riaprono il dibattito sulla social card, mettendo in luce l’inadeguatezza strutturale di questa misura per il sostegno economico alle famiglie in difficoltà. In base al principio costituzionale di sussidiarietà, allo Stato spetta la definizione di politiche nazionali e di standard delle prestazioni, per garantire ai cittadini uniformità di trattamento, mentre l’erogazione di una misura monetaria, a contrasto della povertà, non può scavalcare ruolo e funzioni di Regioni ed Enti locali, che hanno una specifica e diretta competenza nella programmazione territoriale e nella realizzazione e gestione degli interventi a favore dei cittadini. Oggi, la povertà presenta aspetti multidimensionali, che non possono essere letti solo con indicatori economici e anagrafici, perché è determinata dalla presenza o meno di reti familiari e sociali di protezione, ma anche dal costo della vita, che è territorialmente diversificato. Un intervento, che non si collochi in una lettura articolata della condizione reale delle persone, innestata nei loro contesti di vita, perde di efficacia. In un momento di così grave congiuntura economica, l’uso delle risorse rappresenta uno strumento strategico che deve uscire da logiche meramente assistenziali, o peggio ancora populiste: ogni investimento va concertato con i diversi livelli di governo, per integrarsi con le reti di risorse, servizi e interventi presenti nei territori. Erogazioni monetarie assegnate in modo frammentario, non ricomposte su base territoriale e non organiche a politiche di inclusione sociale, rappresentano interventi inadeguati che non garantiscono alcuna efficacia.
Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia
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La strategia a contrasto della tratta degli esseri umani
Le strategie a contrasto della tratta degli esseri umani.
La questione relativa al fenomeno prostituzionale, per l’allarme sociale che genera nei cittadini, in particolare quando si rende visibile sulle strade, si trova al centro del dibattito politico. Farsi carico del legittimo bisogno di sicurezza, espresso dalla cittadinanza, è un dovere da parte di ogni amministrazione pubblica, ma, con altrettanta fermezza, non vanno alimentate la paura e la stigmatizzazione, riducendo un grave e complesso problema sociale ad un mero problema di ordine pubblico. A quest’ultima logica afferiscono, invece, tutti gli interventi che, attraverso la messa in atto di sole azioni repressive, proibiscono l’esercizio della prostituzione sulle strade, non prendendo in considerazione come le persone, adulte e minori, che si prostituiscono, siano prima di tutto vittime di sfruttamento e tratta, gravissimi reati perpetrati da organizzazioni criminali. La prostituzione non si elimina rendendola invisibile, spostandola in luoghi chiusi e nascosti, ma offrendo alle vittime opportunità di integrazione e percorsi protezione sociale. Il quadro normativo nazionale ha garantito al nostro paese di sviluppare un efficace modello di intervento di lotta alla tratta e di tutela delle persone sfruttate, riconosciuto sia a livello europeo che dal dipartimento di Stato degli Usa che, nel Rapporto 2007, assegna all’Italia un ruolo di primo livello, fra i paesi che soddisfano tutti i criteri, per l’eliminazione della tratta delle persone. Il cammino da perseguire, pertanto, non può discostarsi da queste direttrici: il riconoscimento della dignità delle persone e la garanzia dell’affrancamento da ogni forma di sfruttamento e schiavitù.
Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia
La Caritas chiede nuove politiche a contrasto della povertà.
Il fenomeno della povertà è, nel nostro paese, oggetto di indagine da parte di una pluralità di enti di ricerca che, annualmente, ci forniscono dati ed elementi conoscitivi sulla situazione socio economica delle famiglie italiane.
Il Rapporto 2008 “Ripartire dai poveri”, prodotto dalla Caritas, con la collaborazione della Fondazione Zancan, e presentato lo scorso 17 ottobre a Roma, è uno strumento che rappresenta con chiarezza la multidimensionalità dell’esclusione sociale, chiamando in causa il modello di welfare, affermatosi nel nostro paese. Il Rapporto mette in luce dati allarmanti, evidenziando che l’Italia, nell’Europa dei 15, presenta una delle più alte percentuali di popolazione a rischio di povertà: ad esempio, il 13% della popolazione italiana vive con meno di 500-600 euro al mese, il 30,2% delle famiglie, con oltre 2 figli, è a rischio di povertà, la popolazione anziana vede incrementata, in un anno, del 2,4% l’incidenza della povertà relativa.
Il forte richiamo, che emerge dalla ricerca, riguarda la necessità di ripensare in modo radicale alle politiche di inclusione sociale, chiamate a fronteggiare il fenomeno della povertà con interventi strutturali, che escano da logiche assistenziali ed emergenziali. Il Rapporto individua alcune linee strategiche essenziali, per lo sviluppo di politiche in grado di realizzare un nuovo modello di welfare, che preveda sia il passaggio dal trasferimento delle risorse monetarie alla realizzazione dei servizi, che la gestione decentrata della spesa sociale.
Le parole chiave, per affrontare lo scenario futuro, riguardano la necessità di avviare strategie territoriali integrate, capaci di promuovere piani di azione locale a lungo termine.
Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia
Abuso di alcool – la nuova emergenza giovanile
Dopo la tragica morte del ragazzo padovano all’Ombralonga di Treviso (morte che è stata riscontrata non addebitabile agli effetti dell’alcool), il tema della dipendenza da alcool è ritornato prepotentemente alla ribalta della cronaca. Il fenomeno dell’abuso di alcool da parte dei giovani è drammatico, i dati emanati dall’Istituto Superiore della Sanità sono impietosi e fotografano una situazione di vero allarme sociale: l’età nella quale gli adolescenti cominciano a bere è scesa tra gli 11 e i 15 anni, per il 22.8% si tratta di maschi e per il 16.8% di femmine. Le statistiche ci dicono anche che, quasi un adolescente su cinque, consuma, all’anno, almeno una bevanda alcolica; l’1% ne beve una quotidianamente. Se spostiamo la nostra attenzione sulla fascia di età fra i 20 e i 24 anni, si evidenzia che l’80,7% dei maschi e il 63,2% delle femmine consumano almeno una bevanda alcolica in un anno e che il 21,5% dei maschi e il 4,6% delle femmine ne fa uso quotidiano. Attraverso i dati si evidenzia che il fenomeno del bere fino ad ubriacarsi (estreme drinking) riguarda ben 740.000 giovani, di questi solo 61.000 sono seguiti dai S.E.R.T, ma il quadro generale è reso ancora più allarmante, perché ci indica che sono circa 9 milioni gli italiani a rischio. Necessita pertanto una campagna educativa nazionale, che spieghi ai giovani che non vi è solo il pericolo immediato per la loro incolumità (alla guida sono il 57% gli incidenti causati da abuso di alcool), ma esiste anche un pericolo mortalità legato all’incidenza del fattore alcol nell’incremento delle malattie degenerative Ma dobbiamo anche essere consapevoli che l’informazione sanitaria non è sufficiente, se la nostra società non si interroga criticamente sugli stili di vita che promuove e propone a modello delle giovani generazioni.
Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia
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Abuso di alcool – la nuova emergenza giovanile
Abuso di alcool – la nuova emergenza giovanile
Dopo la tragica morte del ragazzo padovano all’Ombralonga di Treviso (morte che è stata riscontrata non addebitabile agli effetti dell’alcool), il tema della dipendenza da alcool è ritornato prepotentemente alla ribalta della cronaca. Il fenomeno dell’abuso di alcool da parte dei giovani è drammatico, i dati emanati dall’Istituto Superiore della Sanità sono impietosi e fotografano una situazione di vero allarme sociale: l’età nella quale gli adolescenti cominciano a bere è scesa tra gli 11 e i 15 anni, per il 22.8% si tratta di maschi e per il 16.8% di femmine. Le statistiche ci dicono anche che, quasi un adolescente su cinque, consuma, all’anno, almeno una bevanda alcolica; l’1% ne beve una quotidianamente. Se spostiamo la nostra attenzione sulla fascia di età fra i 20 e i 24 anni, si evidenzia che l’80,7% dei maschi e il 63,2% delle femmine consumano almeno una bevanda alcolica in un anno e che il 21,5% dei maschi e il 4,6% delle femmine ne fa uso quotidiano. Attraverso i dati si evidenzia che il fenomeno del bere fino ad ubriacarsi (estreme drinking) riguarda ben 740.000 giovani, di questi solo 61.000 sono seguiti dai S.E.R.T, ma il quadro generale è reso ancora più allarmante, perché ci indica che sono circa 9 milioni gli italiani a rischio. Necessita pertanto una campagna educativa nazionale, che spieghi ai giovani che non vi è solo il pericolo immediato per la loro incolumità (alla guida sono il 57% gli incidenti causati da abuso di alcool), ma esiste anche un pericolo mortalità legato all’incidenza del fattore alcol nell’incremento delle malattie degenerative Ma dobbiamo anche essere consapevoli che l’informazione sanitaria non è sufficiente, se la nostra società non si interroga criticamente sugli stili di vita che promuove e propone a modello delle giovani generazioni.
Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia
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Il volto della povertà estrema in Italia
Il Ministero del Welfare, in collaborazione con ISTAT, CARITAS e FIOPSD (Federazione che raggruppa una settantina di soggetti privati e pubblici che assistono i senza tetto), ha avviato la prima rilevazione su scala nazionale relativa alle persone senza dimora: l’obiettivo è elaborare una ricerca sul fenomeno per il 2010, proclamato “Anno europeo contro la povertà”.
Una prima stima mette in luce come questa condizione di povertà estrema riguardi un numero di persone che oscilla le 70.000 e le 100.000 unità: i processi di impoverimento economico e di aumento del livello di precarizzazione delle condizioni di vita, stanno marginalizzando uomini e donne che non appartengono al target del grave disagio sociale (ex detenuti, tossicodipendenti, alcolisti, pazienti psichiatrici), fra le persone che vivono in strada, infatti, è sempre più diffusa la presenza di soggetti che hanno conosciuto la stabilità e le reti di protezione dello stato sociale.
La ricerca sta già mettendo a fuoco la complessità del profilo della persona senza dimora: si tratta prevalentemente di uomini (81,8%), appartenenti alla fascia di età fra i 28 ai ai 47 anni ( 54%), con una bassa scolarizzazione (solo il 33,7% ha la licenza media, il 17,7% il diploma e il 3,9% la laurea), disoccupati (43,4%) e con fallimenti affettivi alle spalle (37,1%). Solo il 13,3% si rivolge ai familiari per richiedere aiuto, il 38,7% preferisce rivolgersi ai volontari. Se ne deduce che il rischio di esclusione sociale non è più e solo strettamente correlato all’ appartenenza ad una categoria di disagio, ma anche alla situazione della persona all’interno del suo contesto affettivo, relazionale e sociale.
Paolo Bonafè
Presidente laboratorio Venezia
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Il valore della solidarietà
Il Valore della Solidarietà
Il dibattito cittadino, relativo allo spostamento del campo Sinti di Mestre, rende necessaria una riflessione che metta in luce come la nostra città abbia saputo elaborare un modello, riconosciuto in ambito nazionale ed europeo, per la cultura dell’accoglienza e dell’inclusione sociale sviluppate.
Questo si è reso possibile, grazie alla sinergia e alla collaborazione fra una pluralità di soggetti e lo sviluppo di politiche sociali che hanno realizzato un sistema di servizi innovativi a favore dei minori, delle famiglie, degli anziani, dei disabili, delle vittime di tratta, delle persone in condizioni di marginalità, nel riconoscimento della dignità e dei diritti di tutti, ma anche nella consapevolezza strategica che più alta è la coesione sociale, che un territorio esprime, più alto è il livello di sicurezza di cui beneficiano i cittadini.
La capacità di interlocuzione e collaborazione dei servizi comunali, che lavorano con i target più esposti al rischio di devianza, con le forze dell’ordine, sono un esempio di come il nostro territorio sia presidiato.
Il lavoro di strada, la mediazione dei conflitti, il lavoro di comunità, la valorizzazione del Terzo Settore, sono gli strumenti attraverso i quali le amministrazioni comunali hanno, negli anni, investito e che, oggi, ci permettono di vivere in una città sicura e solidale.
In particolare è utile ricordare come la vicenda del campo di Via Vallenari sia esemplare per il processo con cui si è arrivati alla assunzione di decisioni, attraverso interventi specifici nella comunità locale, stimolando processi di partecipazione attiva per garantire percorsi volti all’individuare insieme soluzioni ai problemi ed alle esigenze espresse dalle persone, attraverso attività condivise di progettazione partecipata, nella convinzione che, anche sui temi più delicati, vada sempre promosso il dialogo fra cittadini portatori di interessi e bisogni diversi, ma non per questo inconciliabili fra loro.
Paolo Bonafe’
Un nuovo modello di welfare contro l’insicurezza
I nuovi fenomeni sociali e i processi di impoverimento che riguardano la società italiana, interpellano fortemente e in modo ineludibile l'azione politica nel suo complesso e, nello specifico, richiedono la definizione di un nuovo disegno strategico di welfare, che abbia come cardini il principio di sussidiarietà e il modello della governance: entrambi, oltre a determinare gli assetti organizzativi di governo di un territorio, orientano le politiche in una prospettiva che pone al centro il cittadino, con le sue reti sociali e relazionali.
Rispetto all'aumento di situazioni di povertà e all'ampliarsi di condizioni di vulnerabilità sociale, a fronte di una oggettiva riduzione di risorse finanziare, le politiche sociali non possono prescindere dalle reti di aiuto, che attraversano ogni territorio, dal capitale umano che esse esprimono, promuovendo azioni e valori improntati alla solidarietà e alla corresponsabilità.L'attuale assetto normativo valorizza e sostiene i processi che favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale: solo così è possibile garantire un modello di aggregazione sociale, capace di prossimità, accoglienza e risposte ai bisogni dei cittadini, attraverso percorsi in cui le persone stesse diventano protagoniste, mediante l'espressione delle risorse, dei saperi e delle competenze di cui sono portatrici, come singoli, come famiglie e come comunità nel suo complesso. Necessita però implementare questo modello di policy.Tutto ciò, può rappresentare una risposta efficace all'insicurezza e all'incertezza che caratterizzano l'attuale contesto, garantendo processi di coesione sociale, in grado di consolidare i rapporti tra cittadini e fra cittadini e istituzioni.
Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia
La politica deve ripristinare il patto generazionale per dare un futuro alle famiglie e ai giovani
Una pluralità di inchieste sui comportamenti sociali, connessi alle nuove povertà, ci stanno mostrando anziani che “rubano” beni alimentari di prima necessità al supermercato; persone, appartenenti alla classe media, che recuperano fra i rifiuti la frutta e la verdura alla chiusura dei mercati rionali; giovani costretti a ritornare in famiglia, dopo aver avviato un percorso di autonomia ed indipendenza
Fenomeni che riguardano, non persone prive di fonti di sostentamento e in grave disagio, ma cittadini percettori di reddito da pensione e da lavoro, spesso con livelli culturali medio-alti.
In particolare, la crisi che sta attraversando il paese e immettendo in processi di impoverimento i giovani, pone in luce come il patto generazionale, che ha regolato fino ad oggi il rapporto genitori–figli, si sia rotto. Infatti, se fino a 10 anni fa, l’aspettativa di ogni generazione era quella di veder migliorato il proprio livello socio-economico di benessere, rispetto alla generazione precedente, oggi un genitore è consapevole che il proprio figlio vivrà in una società dove saranno assenti le garanzie di cui lui ha beneficiato. Lavoro, casa, pensioni rappresentano aree di diritto ad alta criticità: disoccupazione, precarietà, costi delle abitazioni, crisi economica, perdita del potere di acquisto di stipendi e pensioni declinano uno scenario di grande incertezza e preoccupazione. Pertanto, oggi, la priorità e la responsabilità cui è chiamato il nuovo governo sarà quella di elaborare e definire strategie coerenti ed integrate per lo sviluppo di politiche economiche, del lavoro e del welfare.
Paolo Bonafè
Presidente laboratorio Venezia
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Sussidiarietà e governance per un nuovo modello di Welfare.
I nuovi fenomeni sociali e i processi di impoverimento, che riguardano la società italiana, interpellano fortemente e in modo ineludibile l’azione politica nel suo complesso e, nello specifico, richiedono la definizione di un nuovo disegno strategico di welfare, che abbia come cardini il principio di sussidiarietà e il modello della governance: entrambi, oltre a determinare gli assetti organizzativi di governo di un territorio, orientano le politiche in una prospettiva che pone al centro il cittadino, con le sue reti sociali e relazionali.
Infatti, rispetto all’aumento di situazioni di povertà e all’ampliarsi di condizioni di vulnerabilità sociale, a fronte di una oggettiva riduzione di risorse finanziare, le politiche sociali non possono prescindere dalle reti di aiuto, che attraversano ogni territorio, dal capitale umano che esse esprimono, promuovendo azioni e valori improntati alla solidarietà e alla corresponsabilità.
L’attuale assetto normativo valorizza e sostiene i processi che favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale: solo così è possibile garantire un modello di aggregazione sociale, capace di prossimità, accoglienza e risposte ai bisogni dei cittadini, attraverso percorsi in cui le persone stesse diventano protagoniste, mediante l’espressione delle risorse, dei saperi e delle competenze di cui sono portatrici, come singoli, come famiglie e come comunità nel suo complesso.
Questo modello di policy, può rappresentare una risposta efficace all’insicurezza e all’incertezza che caratterizzano l’attuale contesto, garantendo processi di coesione sociale, in grado di consolidare i rapporti tra cittadini e fra cittadini e istituzioni.
Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia
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