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Tutela ambientale e fame nel mondo, il pericolo delle ecobenzine

Tutela ambientale e fame nel mondo, il pericolo delle ecobenzine

Il Piano energetico, approvato ad inizio anno dall’ Unione Europea, fissa per il 2010 l’obiettivo di portare al 10%, e per il 2030 al 25%, il consumo dei biocarburanti (biodiesel, bioetamolo, biomasse) per la trazione stradale. Questa strategia, volta a ridurre le emissioni inquinanti del traffico, ha in sé un elemento di forte contraddizione proprio per l’origine vegetale di tali combustibili, che derivano dalla spremitura e lavorazione di prodotti alimentari quali i semi di colza, di soia, e di girasole, oppure dalla fermentazione di prodotti agricoli quali mais, frumento ed orzo. Pertanto, se da un lato l’utilizzo di tali prodotti comporta una riduzione delle emissioni nocive a tutela dell’ambiente, dall’altro causa un aumento dei prezzi di questi prodotti, con ricadute sul costo di pasta, pane e cereali. Questo, se nei paesi europei può significare “solo” un aumento dei prezzi, nel terzo mondo ha, come drammatica ricaduta, un aumento della povertà e della fame per centinaia di milioni di abitanti del nostro pianeta. La FAO, l’ organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, che guida gli sforzi internazionali per sconfiggere la fame, ha avviato una campagna di denuncia, dichiarando l’investimento sulle ecobenzine crimine contro l’umanità, perché comporta l’affamamento dei poveri.
Questo scenario dimostra come il sistema di approvvigionamento energetico, sia connesso ad una complessità di fattori, per cui ogni scelta politica, compiuta con logiche parziali, rischi di compromettere equilibri complessi e vasti, che riguardano da vicino l’esistenza e la stessa sopravvivenza umana.

Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it

C’è bisogno di una nuova austerity

Ogni giorno veniamo informati dai media dell’aumento oramai irrefrenabile del costo del petrolio e di come lo stesso sia dovuto alle nuove richieste di prodotto che arrivano dai paesi emergenti asiatici e in particolare modo da Cina ed India. Chi è stato attento alle analisi fatte da tempo dai vari economisti potrà testimoniare che da tempo questi avevano sollevato preoccupazioni e come vi fosse la necessità di ripensare ai nostri consumi energetici, non solo per l’effetto serra e il relativo problema ambientale, ma anche e soprattutto, perché le risorse di greggio mondiali si stanno esaurendo. Infatti la maggior parte dei giacimenti sono stati scoperti negli anni ’60 e l’80% del petrolio che stiamo consumando è stato trovato prima del 1973 con un trend di nuove scoperte pari a un barile su quattro di petrolio consumato. Dato, inoltre, che stiamo raggiungendo la massima velocità di estrazione del petrolio e del gas naturale, gli esperti prevedono che il picco di estrazione del petrolio sarà nel 2010, mentre per il gas naturale si parla del 2020, senza considerare che la produzione di petrolio dal giacimento diventa progressivamente più difficoltosa e quindi sempre più costosa man mano che si estraggono porzioni crescenti della riserva recuperabile. Da questi dati la valutazione che le riserve mondiali di petrolio si potrebbero esaurire in circa 30 anni. Altro dato di analisi è quello che, finché solo il 19% della popolazione mondiale consumava il 50% del petrolio mondiale l’equilibrio prezzi/consumi poteva reggersi, ora che anche il colosso Asia richiede energia questo equilibrio va in pezzi. Pertanto il ripensare anche in Italia ad una nuova austerity dei consumi come negli anni 70 è quanto mai indispensabile e il blocco della circolazione totale delle auto in giorni prestabiliti servirebbe non solo per migliorare la qualità dell’aria delle nostre città, ma soprattutto per garantire una riduzione dei consumi e quindi dei prezzi dei combustibili.

Paolo Bonafè
Presidente di Laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it

Il pericolo delle estrazioni di gas metano in Adriatico

Il pericolo delle estrazioni di gas metano in Adriatico

L’ estrazione di gas metano in Adriatico rappresenta un tema ricorrente nell’agenda della politica, perché su di esso si scontrano le posizioni inconciliabili, fra coloro che ritengono necessario attingere a quest’enorme serbatoio di gas e coloro che ne segnalano il disastroso impatto ambientale. A conferma di quest’ultima posizione, abbiamo a riscontro la mutata morfologia del litorale adriatico e gli effetti di subsidenza che, a seguito delle estrazioni, hanno già interessato la costa romagnola che quella di Chioggia.
Ne caso di Venezia dove, fino agli anni settanta le industrie di Portomarghera hanno attinto, per il loro fabbisogno industriale, alle acque delle falde sottostanti, l’ effetto di subsidenza dei fondali, verificato rapportando le carte nautiche militari degli anni 1886-1894 con quelle dell’istituto idrografico dei primi anni 70, è calcolato di ben 23 centimetri. Da qui la conseguente creazione di canali che dal SILE portassero l’acqua necessaria alle industrie Nel 2000, anno della concessione per l’estrazione, data dal governo italiano all’ENI, sono stati prodotti studi dall’Università di Padova che evidenziano come, un pompaggio di gas metano dal giacimento denominato “CHIOGGIA2”, che si estende da 2 miglia fino a 12 miglia dalla costa, provoca un effetto di subsidenza del livello marino pari a 40 cm.. L’ ulteriore conseguenza sarebbe l’erosione dei litorali sabbiosi, provocata dalla formazione di vortici e dall’ accumulo di materiale solido, dovuti alla formazione di nuove fosse ed avvallamenti marini, causati dal processo di estrazione di gas: fenomeno riscontrabile nella spiagge della zona centrale del Lido, tanto che il Consorzio Venezia Nuova sta costruendo dighe trasversali di contenimento dei depositi sabbiosi. L’effetto conseguente alla subsidenza, è l’eustatismo (innalzamento del mare), che è stato misurato in 8,8-10,5cm, con evidenti conseguenze relative al fenomeno delle «acque alte» a Venezia e a Chioggia. La subsidenza andrebbe poi ad indebolire il sistema delle «difese a mare», che si stanno ricostruendo e consolidando da alcuni anni, diminuendo o impedendo il rifacimento naturale o artificiale dei litorali e innescando processi di erosione, che confliggono con l'uso turistico-balneare delle spiagge.
Va inoltre ribadito che non esiste una tecnologia che consenta di ripressurizzare il sottosuolo, poiché la reimmissione di acqua nei giacimenti contestualmente all'estrazione di gas, interessante sul piano teorico, non risulta, in fase concreta di applicazione, efficace ad evitare i fenomeni di subsidenza e a preservare la tenuta delle faglie tettoniche, dal rischio di movimenti sismici.
Pertanto, di fronte alla criticità di questo scenario e ai molteplici fattori di rischio, cui viene sottoposto il nostro patrimonio ambientale, vanno vietate le estrazioni dai giacimenti, contigui alle coste italiane, e va monitorata l’attuale attività estrattiva delle società che hanno avuto la concessione italiana e croata (vedi ENI e INAGIP,jont-venture italo-croata). Questo prima che si attuino processi irreversibili per le coste adriatiche e per Venezia.

Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it

Come affrontare l’emergenza rifiuti

Le drammatiche immagini che provengono dalla Campania, mettono in luce quali esiti devastanti possano investire un territorio quando allo stallo e all’ immobilismo della politica, nella capacità di assumere decisioni, si somma la crisi del senso di corresponsabilità da parte dei cittadini. Nel caso di Napoli questi elementi impattano intersecano un tessuto dove, gli intrecci con la malavita organizzata, provocano una situazione complessiva di paralisi che non sembra avere sbocchi.
Qualsiasi riflessione su quanto sta avvenendo, evidenzia pertanto quanto il tema dello smaltimento dei rifiuti necessiti, per uscire da logiche emergenziali, di coniugare contemporaneamente il livello della gestione con quello della programmazione.
In contrapposizione alla situazione napoletana, viene citato da più commentatori, come esempio di buon governo, il modello veneziano.
In questo caso, le amministrazioni locali, che si sono avvicendate nel tempo, e l’azienda incaricata (vedi AMIU/AMAV/VESTA ora VERITAS) hanno saputo produrre, pur nella complessità del territorio che gestiscono, un sistema di smaltimento efficiente ed efficace, dimostrando capacità di previsione.
Un ulteriore salto di qualità va fatto nel centro storico veneziano, dove, per le specifiche caratteristiche, non è stata ancora messa a regime la raccolta differenziata dei rifiuti.
Questo passaggio richiede sicuramente un investimento aziendale, ma anche il contributo attivo da parte dei cittadini e dei turisti, nella consapevolezza che il comportamento di ciascuno nella quotidianità, nel suo effetto moltiplicatore, produce un esito che ha ricadute sulla qualità della vita di tutta la collettività.

Paolo Bonafe’
Presidente laboratorio Venezia

Contro l’inquinamento da PM10 Dobbiamo interrogarci sulle targhe alterne

Assistiamo in questi giorni al rinnovarsi delle polemiche circa l’adozione dello strumento delle targhe alterne, quale misura per la riduzione delle polveri fini. Al di là delle posizioni strumentali, è oramai accertato da una larga parte del mondo scientifico, che, l’esposizione alle polveri sottili PM10 o PM2.5, abbia effetti dannosi per la salute. Possiamo citare gli studi promossi dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità sugli effetti dell’esposizione alle polveri fini, soprattutto nei bambini (vedi Air Quality Guidelines WHO- 2006), condotti in Olanda, Francia, California ed Inghilterra: ne emerge una stretta correlazione fra la presenza di malattie respiratorie nei bambini e il loro abitare in prossimità di arterie altamente trafficate. Gli studiosi britannici, nello specifico, hanno usato come indicatori di riferimento i macrofagi, cellule mononucleate tissutali, che svolgono la funzione di inglobare nel loro citoplasma particelle estranee, compresi i microrganismi, e di distruggerle. Utilizzando questi, come marcatori di esposizione individuale al particolato derivato da combustibile fossile, hanno dimostrato come ad ogni aumento del contenuto di carbone nei macrofagi respiratori, si associava una considerevole riduzione nei parametri della funzionalità polmonare. D’altro canto, uno studio americano ha valutato l’effetto di uno sciopero di 8 mesi dei lavoratori del rame che ha comportato, approssimativamente, una diminuzione del 60% della concentrazione delle particelle di solfato sospeso nell’aria, con una ricaduta sulla popolazione che ha garantito una diminuzione consistente del tasso di mortalità. Viene così confermata la pericolosità dell’esposizione eccessiva e prolungata al PM10 e 2.5, che ha come esito un aumento della mortalità, sia nei bambini che negli adulti, una maggiore incidenza di ictus e malattie cardiovascolari. Una maggiore consapevolezza nei cittadini, può, pertanto, rendere maggiormente condivisibile lo strumento delle targhe alterne, a condizione che si inserisca in una strategia complessiva, volta al miglioramento della qualità dell’aria che respiriamo.
Paolo Bonafe’
Presidente di laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it

Anche i nostri stili alimentari possono salvaguardare l’ambiente

Già ad aprile di quest’anno avevo evidenziato quanto emerso da un interessante studio commissionato dalla Coldiretti, nel quale si evidenzia come anche i nostri stili alimentari possano aiutare a salvaguardare l’ambiente. In questo studio viene messa in correlazione la provenienza dei cibi con la produzione di anidride carbonica prodotta dai mezzi di trasporto che servono per la loro movimentazione. Oggi che viviamo la globalizzazione dei mercati diviene facile trovare sui banchi del supermercato frutta ed alimenti che provengono da luoghi molto distanti dal nostro. Sembrerà strano ma tali studi (presentati al recente Forum Internazionale su “Territorio e clima: prospettive e soluzioni per l'energia del futuro”) evidenziano come un pasto contenente piatti “a lunga distanza” sia in grado di liberare 170 chili di CO2. Cioè portare sulle nostre tavole cibi come la carne argentina (36 chili), le suine sudafricane (26 chili), il riso thailandese (27 chili), gli asparagi spagnoli (6 chili), le pere argentine (36 chili) e il vino rosso cileno (39 chili) comporta liberare nell’atmosfera chili e chili di CO2. Negli Usa, è stato dimostrato che un chilo di mele importato consuma cinque volte più energia di quelle locali, in Germania hanno evidenziato che usando prodotti agricoli regionali è possibile ridurre del 70 per cento il consumo di trasporto incorporato in un vasetto di 150 grammi di yogurt alla fragola, mentre in Inghilterra è stato dimostrato che i chilometri percorsi dai prodotti alimentari sono aumentati in venti anni del 76 per cento. In Italia questo avviene anche senza che il consumatore abbia un aggravio di costi. A tal scopo, necessiterebbe, che da parte del Governo e dell’Associazione Consumatori fosse avviata una seria indagine per capire le motivazioni che vedono il quadruplicamento de prezzi dal produttore al consumatore finale unita all’impegno di ognuno di noi, perché sulle nostre tavole arrivino cibi più genuini, più convenienti e soprattutto con minor impatto ambientale. A questo si dovrebbe unire l’impegno delle Pubbliche Amministrazioni, perché nelle mense scolastiche ed ospedaliere siano somministrati solo cibi che abbiano una provenienza locale certificata. Sul piano operativo mi risulta che la Coldiretti abbia già avviato una serie di iniziative quali: l'obbligo di indicare in etichetta la provenienza dei cibi in vendita; accordi con le aziende della grande distribuzione perché creino delle aree specifiche, dove i clienti possano trovare gli alimenti locali; la promozione delle vendita diretta degli agricoltori in “farmers market”, fino alla inaugurazione di osteria a “chilometri zero”.
Quindi, anche grazie ad una nostra migliore educazione alimentare, possiamo tutelare l’ambiente e le nostre tasche.

Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia

Possiamo risparmiare energia migliorando i nostri consumi energetici

Il tema del risparmio energetico è centrale nell’attuale dibattito sulla salvaguardia dell’ambiente: è opinione oramai diffusa (come dimostra la campagna per la tutela ambientale lanciata da Al Gore negli USA): che ciascuno di noi debba impegnarsi a cambiare il proprio stile di vita, anche attraverso semplici azioni, quali quelle di acquisire nuovi comportamenti nell’uso degli elettrodomestici.
Innanzi tutto vanno acquistati quelli in classe “A” (sono previsti importanti incentivi sulla rottamazione dei vecchi), ma anche adottando degli accorgimenti per il loro utilizzo quotidiano, in particolare per quelli che prevedono un maggior consumo di energia:.
• Scaldabagno: dotarlo di un timer che lo attivi solo nelle ore notturne, prevedere che le tubature vengano protette da una guaina isolante, per evitare le dispersioni di calore attraverso il loro percorso;
• Lavatrice: utilizzarla in orario serale e notturno solo a pieno carico e a basse temperature (non è quasi mai necessario lavare a 90°C), evitando di utilizzare la funzione del prelavaggio;
• Frigorifero: non riempirlo troppo, non inserirvi pietanze ancora calde e, ovviamente, (anche se sembra banale, ma non lo è per i nostri figli) non lasciare la porta aperta per troppo tempo;
• Lavastoviglie: utilizzarla a pieno carico, a programmi a media temperatura e veloci.
Anche in salotto si può risparmiare, ottimizzando l’uso del televisore, videoregistratore e impianto hi−fi, spegnendo tutti gli apparecchi prima di andare a dormire e staccando la spina quando si dovesse restare fuori casa per un lungo periodo di tempo.
Per quanto riguarda l’illuminazione, i consigli degli esperti ci indirizzano nel scegliere lampadine a basso consumo energetico, a preferire una illuminazione diretta del tavolo, rispetto a quella diffusa, a usare paralumi trasparenti o dai colori chiari e a pulire regolarmente sia le lampadina che lo stesso paralume.
Particolare attenzione va posta al sistema di riscaldamento della casa e di coibentazione, ma anche ai comportamenti della quotidianità: come l’evitare di coprire i termosifoni, o prevedere l’arieggiamento della casa spalancando per pochi minuti le finestre (optando per quelle con vetrocamera), piuttosto che lasciarle socchiuse per lunghi periodi.
Viene pertanto richiesto a tutti noi uno sforzo importante per “rieducarci”, attraverso un percorso di cambiamento che investe il nostro quotidiano nelle abitudini e nei consumi, perché non possiamo sottrarci all’ assunzione di responsabilità: il destino della terra riguarda ognuno di noi, da molto vicino.

Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia
(www.laboratoriovenezia.it)

L’acqua potabile: una risorsa da non sprecare

Leggendo tra le pagine dei giornali mi ha molto colpito una informazione che per me aveva dell’incredibile e cioè che l’Osservatorio della salute ci dice che l'acqua potabile in Italia è sufficiente solo per i 2/3 della popolazione e che questa emergenza colpisce soprattutto le regioni del Sud Italia, in particolar modo Calabria, Sardegna, Sicilia, Puglia e Basilicata. Ma come? L’Italia che può vantare la presenza di laghi, fiumi, canali e montagne innevate e che ha chilometri di acquedotti si trova in emergenza idrica?
Sembra impossibile, ma la disponibilità di acqua dolce pulita rappresenta una delle tematiche più importanti che non solo l’Italia, ma l'Umanità intera, dovranno affrontare nel prossimo futuro, dal momento che la crescente domanda è superiore alle disponibilità e che l'inquinamento continua ad avvelenare fiumi, laghi e ruscelli.
Nel mondo, sui 5 miliardi di popolazione censita, esistono 1,2 miliardi di persone che non possono contare su un accesso all'acqua potabile e 2,4 miliardi di persone che non dispongono di impianti fognari adeguati. Questo è dovuto ad una congiuntura di fattori: 1) L'aumento della popolazione mondiale, che comporta una sempre crescente richiesta di questa risorsa. 2) L'inquinamento, che causa l'esclusione di importanti fonti di approvvigionamento 3) gli scarichi civili, che riversano nei fiumi una tale quantità di materia organica, da bloccare le naturali potenzialità autodepurative dell'acqua. 4) gli scarichi industriali, che vengono riversati direttamente nei fiumi o in mare o che, arrivano indirettamente a fiumi e laghi, attraverso le precipitazioni metereologiche. 5) I fertilizzanti e i pesticidi, che vengono usati in agricoltura e che provocano l'inquinamento delle falde acquifere. 6) I cambiamenti climatici globali, come l'effetto serra, che causano l'aumento della concentrazione di CO2 nell'atmosfera (con gravi ripercussioni sull'assetto idrico del pianeta.), l’aumento delle temperature nelle regioni aride (con conseguente calo delle precipitazioni del 10% circa), l’aumento delle precipitazioni nelle regioni a clima freddo o temperato (che porterà ad un aumento delle precipitazioni nei periodi invernali di 2-3 volte e a una loro diminuzione del 20-40% nei periodi primaverili).
Se uniamo a queste valutazioni quella che, nel corso del 20° secolo, l'utilizzo dell'acqua è cresciuto a un tasso più che doppio rispetto a quello della popolazione, capiamo che l’emergenza acqua non è solo problematica per l’ecosistema, ma che può portare gravi conseguenze per la politica e per l’economia mondiali, oltre che per la salute delle popolazioni.
Infatti nelle zone più aride la questione idrica è sempre servita ad alimentare la propaganda di regimi nazionalisti. L'acqua si è trasformata, di volta in volta, in obiettivo strategico da colpire per indebolire l'avversario, in uno strumento di ricatto che serviva a garantire la supremazia regionale. E' chiaro che, in questo contesto, la proposta di considerare l'acqua come bene economico raro, assegnandole un prezzo di mercato che ne rifletta la scarsità, non favorisce la pace e la cooperazione, come sostengono i suoi fautori, ma porta dritti alla petrolizzazione dell'acqua.
La soluzione ai problemi legati alla scarsità idrica, in molti casi, non si trova nell'acqua, o in costose e discutibili soluzioni tecniche, ma passa per la volontà politica dei dirigenti. Che vuol dire avviare una seria cooperazione a livello regionale e internazionale.. Nei paesi in via di sviluppo il 90% dell’acqua di scarico viene riversata direttamente nei fiumi, provocando ogni anno 250 milioni di malati. Il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg ha fissato una serie di obiettivi ambiziosi circa i problemi dell’acqua, tra cui quello di dimezzare il numero di persone che non hanno un accesso adeguato all’acqua e ai servizi sanitari entro il 2015. Il progetto, ha come obiettivi la lotta alla povertà e la conservazione della biodiversità (varietà delle specie animali e vegetali) e vede la proficua cooperazione tra istituzioni e comunità locali. Il Living Planet Index 2002 (l’indice elaborato del WWF che misura lo stato di salute degli ecosistemi e della biodiversità) denuncia che il mondo ha già perso più della metà della biodiversità degli ecosistemi di acqua dolce dal 1970 al 2000, più che per gli ecosistemi terrestri e marini. Quindi l’acqua è una risorsa e dobbiamo avere la capacità di educarci a non sprecarla, dapprima nei nostri usi domestici e poi, come cittadini, sensibilizzando le Amministrazioni Pubbliche a chiudere, durante i periodi di particolare siccità, le varie fontane presenti in città e di dotare le varie fontanelle di un rubinetto, che permetta l’approvvigionamento solo se questi viene aperto e non come succede adesso. Piccoli gesti, che non sono solo mirati a risparmi economici, ma azioni solidali verso chi l’acqua potabile non ce l’ha o non può permettersi di sprecarla.

Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia

Possiamo salvare l’Ambiente anche attraverso i nostri stili alimentari

Vi è una notizia che mi ha colpito e che voglio condividere, e cioè la pubblicazione di uno studio commissionato dalla Coldiretti in merito al rapporto che sembra esistere, tra la produzione di anidride carbonica e gli alimenti, che ogni giorno acquistiamo e mangiamo. Lo studio evidenza che, un pasto con prodotti locali, genera la metà delle emissioni di anidride carbonica (CO2) di uno con prodotti acquistati normalmente al supermercato. Quanto detto è stato affermato durante i lavori del Forum Internazionale “Territorio e clima: prospettive e soluzioni per l'energia del futuro”, organizzato appunto dalla Coldiretti e nel quale sono state analizzate alcune soluzioni da intraprendere, per contrastare gli apocalittici scenari futuri legati alle emissioni di CO2 nell’Atmosfera e all’effetto serra. Durante i lavori del Forum è stato dimostrato come, un pasto contenente piatti “a lunga distanza”, possa liberare nell’atmosfera chili di CO2 all’anno. Nel dettaglio, portare sulle nostre tavole cibi come: la carne argentina (per 36 chili di Co2), le carni suine sudafricane (per 26 chili ), il riso thailandese (per 27 chili), gli asparagi spagnoli (per 6 chili), le pere argentine (per 36 chili) e il vino rosso cileno (per 39 chili), causa una produzione, e quindi la liberazione nell’atmosfera, di 170 chili di CO2, prodotti dalle emissioni dei mezzi di trasporto utilizzati. Gli studi citati da Gerardo Mariotto, dell'Università di Sassari, sono particolarmente sorprendenti: negli Usa è stato dimostrato che, un chilo di mele importato, consuma cinque volte più energia di quelle locali, in Germania hanno evidenziato che, usando prodotti agricoli regionali, è possibile ridurre del 70 per cento il consumo di trasporto incorporato in un vasetto di 150 grammi di yogurt alla fragola, mentre in Inghilterra è stato dimostrato che i chilometri percorsi dai prodotti alimentari sono aumentati in venti anni del 76 per cento. Perciò la Coldiretti ha avviato, in Italia, una serie di iniziative per consentire ai consumatori di fare scelte di acquisto che non inquinano e salvano il clima quali: l'introduzione dell'obbligo di indicare in etichetta la provenienza dei cibi in vendita; la disponibilità di spazi adeguati nella distribuzione commerciale, dove poter acquistare alimenti locali che non devono essere trasportati per lunghe distanze; l'offerta di prodotti regionali in mense scolastiche ed ospedaliere; la promozione delle vendita diretta degli agricoltori e dei farmers market; l'inaugurazione della prima osteria a “chilometri zero”. Quindi POSSIAMO SALVARE L’AMBIENTE ANCHE ATTRAVERSO I NOSTRI STILI ALIMENTARI

Paolo Bonafe’
Presidente di Laboratorio Venezia
www.paolobonafe.it

Emergenza clima – L’impegno della Margherita per una migliore qualità della vita

Gli organi di informazione riportano quotidianamente gli allarmanti esiti degli studi sugli effetti dei mutamenti climatici sull’immediato futuro dell’intera umanità.
Arrestare i processi distruttivi in atto è sicuramente complesso, ma vanno messe in essere da subito azioni che intervengano sulle attività antropiche (produzione di energia e trasporti) così da ridurre le emissioni di gas serra.
L’Italia in questo settore è in grave ritardo, perciò bisogna recuperare rapidamente il gap che ci separa da altri paesi, per garantire il raggiungimento, nel 2020, dell’obbiettivo di ridurre del 20% le emissioni di co2.
Come contributo politico la Margherita ha redatto un “pacchetto sostenibilità” (visibile sul sito www.margheritaonline.it) che si compone di una serie di azioni fra loro sinergiche quali:
a) la modificazione dei meccanismi di incentivazione delle fonti rinnovabili e la semplificazione delle relative procedure autorizzative; b) il sostegno ad una politica industriale che miri al risparmio energetico e volta a centrare gli obiettivi europei; c) l’accesso per tutti, famiglie, imprese e pubblica amministrazione, alle fonti rinnovabili di energia; d) un maggior coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali nella politica volta alla diffusione delle fonti rinnovabili, a garanzia del risparmio energetico e del raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni; e) il potenziamento del trasporto ferroviario regionale; f) la diffusione della elettrificazione del trasporto pubblico urbano; g) la riduzione del trasporto su gomma di merci e persone; h) un programma per l’agricoltura sostenibile.
Già con la finanziaria 2007 sono state previste importanti detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici, portandole dal 36% al 55%, al fine di incentivare la riduzione di consumi energetici e lo sviluppo dell’utilizzo di fonti di energia alternative nell’edilizia esistente, unitamente all’incentivazione alla sostituzione delle caldaie con altre ad alta efficienza. La finanziaria ha previsto, inoltre, incentivi per la sostituzione di elettrodomestici inquinanti con altri più ecologici e di importanti contributi “a fondo perduto”, da destinarsi all’Industria, per l’utilizzo di motori che riducano sensibilmente i consumi elettrici, che, attualmente, consumano una fetta di energia paria a 150 TWh (miliardi di KWh) l’anno.
Nello specifico la Margherita propone, utilizzando lo strumento del project financing,di intervenire:
1) sull’ emergenza idrica, che interessa i grandi bacini e fiumi italiani, con interventi mirati all’ottimizzazione dell’uso dell’acqua nelle produzioni agricole, all’ammodernamento delle rete idrica e all’avvio di produzioni agricole più qualificate;
2) nella creazione di un incentivo mirato al raggiungimento di un obiettivo minimo di auto produzione energetica da fonti rinnovabili, con la possibilità di poter rivendere il resto dell’energia prodotta o di tramutarla in sconto energetico, attingendo alle fonti eoliche, idrauliche, geotermiche, delle biomasse, biogas e dai rifiuti;
3) nella semplificazione delle procedure autorizzative, per la creazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, provvedendo tramite una delega governativa;
4) nello sviluppo dei Titoli di Efficienza Energetica (TEE), per l’innovazione industriale, introdotti con il primo governo Prodi, con l’estensione dei soggetti autorizzati a farvi ricorso;
5) sull’incentivazione al risparmio nei consumi domestici, attraverso la possibilità di scegliere piani tariffari a fasce orarie che incentivino l’efficienza elettrica, applicando riduzioni in bolletta per gli utenti che risparmino oltre il 10% dei loro consumi rispetto all’anno precedente; sulla possibilità di scelta da parte dell’utente di forniture di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili; sulla possibilità di fornitura di energia elettrica certificata proveniente da impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile creati attraverso incentivi fiscali; nel rendere obbligatorio l’uso di lampade a basso consumo energetico,
6) nell’ambito dei trasporti: incentivando la costruzione di veicoli meno inquinanti; nella politica di dissuasione all’uso della automobile, soprattutto nelle aree urbane tramite l’utilizzo delle ZTL e di ROAD PRICING; in un forte sviluppo del trasporto pubblico collettivo, con uno stanziamento di 500 milioni di euro annui per rispondere alle richieste delle società di TPL nel garantire servizi efficienti, comodi, puntuali ed ecologici; nell’adozione di piani del traffico, che mirino alla riorganizzazione del trasporto merci per una riduzione delle emissioni; attraverso l’incentivazione del trasporto pubblico su ferro, puntando ad utilizzare la rete ferroviaria abbandonata o sotto utilizzata, per l’entrata in servizio dell’alta velocità; nello sviluppare il trasporto elettrico di superficie (tram,filobus, metro) nelle aree urbane.
Queste azioni vedranno impegnati non solo i legislatori e i parlamentari, ma anche tutti gli amministratori e quadri dirigenti della Margherita ai vari livelli, perché siamo consapevoli che non saranno sufficienti le leggi e gli incentivi; tutti i provvedimenti messi in campo dovranno essere sostenuti da un’azione politica che promuova processi di cambiamento culturale, volti a responsabilizzare le nostre comunità e ogni singolo cittadino rispetto al proprio comportamento quotidiano , affinché sia improntato ad uno stile di vita “eco-compatibile” .

Paolo Bonafe’
Componente Direttivo Prov.le
Ed Esecutivo Comunale
DL – LA MARGHERITA Venezia