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Dopo Todi: quale missione per i cattolici

Molti hanno interpretato l’annuncio e poi l’esito del convegno di Todi, come un segno della rinascita di un grande e omogeneo movimento cattolico, che persegue l’obiettivo di costruire una nuovo partito politico di ispirazione cristiana.

Ritengo questa una lettura riduttiva: i cattolici vivono la Chiesa, come comunità di credenti, e ne condividono  la natura “cattolica”, ovvero universale – in coerenza all’universalità del messaggio di salvezza di Cristo – pertanto l’universo cattolico è composito e plurale,  portatore di differenze culturali, di approcci e stili.

Per questo, oggi non ha alcun senso riproporre un partito cattolico, perché i cattolici in Italia non rappresentano un interlocutore omogeneo.

La questione è piuttosto un’altra, ovvero la qualità della presenza dei cattolici in politica in questi venti anni di Berlusconismo, in cui non si è riusciti a contrastare la deriva sociale ed antropologica, in un sistema che  ha visto, piuttosto,  la connivenza di  molti politici, che cattolici si dichiarano, ad un processo di desertificazione dei valori individuali e comunitari.

In questo quadro, l’evento di Todi può assumere un significato, a partire dalla necessità di un confronto, di una comune riflessione critica sul ruolo e sulla funzione che i cattolici, anche a partire dalla contraddittoria esperienza di questi anni, sono chiamati a svolgere, in un momento così drammatico della storia politica del Paese, in uno scenario di gravissima e strutturale crisi economica, di portata mondiale.

Diventare “lievito e sale del mondo” significa pertanto, non militare tutti nello stesso partito, ma essere piuttosto  portatori di valori autenticamente vissuti,  in tutti gli ambiti della vita pubblica, economica e sociale in cui siamo coinvolti.

Significa contribuire, ovunque operiamo, a co–costuire una società capace di giustizia sociale, di responsabilità nei confronti delle nuove generazioni, di distribuzione  equa della ricchezza, di uso consapevole  delle risorse. 

Personalmente, auspico che Todi sia l’opportunità per l’avvio di un percorso che ha tantissima strada davanti a sè.

Paolo Bonafè 

Componente Segreteria Comunale PD – Venezia

Si può sperare in una politica migliore

In una scena politica sempre più dominata da risse televisive e diverbi, diviene necessario recuperare modelli di comunicazione incentrati sul dialogo e sulla moderazione. Infatti questi atteggiamenti portano ad una disaffezione del cittadino verso le istituzioni ed un crescente assenteismo dalle urne, perché si accomuna il gran vociare e l’insulto facile, al vuoto di pensiero e all’assenza di un progetto politico. I cittadini rivendicano autonomia e capacità di valutazione critica che si esprimono anche attraverso il voto democratico: questo è oramai slegato da logiche di schieramento e tende a premiare le persone ed i programmi proposti. Infatti tutti gli istituti di rilevazione evidenziano come il più grande partito italiano è quello di chi non vuole andare a votare o di quello composto da coloro che decidono a chi assegnare il proprio voto, solo negli ultimi giorni di campagna elettorale, dopo aver analizzato i diversi programmi elettorali proposti. Tale nuovo approccio alla politica va attentamente analizzato perché mette in luce la crisi dei partiti, divenuti autoreferenziali ed approfondisce la frattura tra loro e la cosiddetta società civile. Stiamo pagando i danni provocati dalla nuova legge elettorale del 2005, denominata “porcellum” dallo stesso ideatore, che introdusse il sistema proporzionale puro con lo sbarramento al 4%, ma che ha impoverito ulteriormente la possibilità di espressione democratica del voto dei cittadini, con la predefinizione degli eletti da parte delle segreterie dei partiti, il cui potere è aumentato a dismisura. Una conseguenza evidente è la scarsa rappresentatività nel territorio degli eletti che oramai hanno perso la capacità di interlocuzione e di ricerca del consenso, perché risulta più semplice legarsi al politico potente di turno, che gli garantisce la possibilità di avere un seggio sicuro e quindi una elezione certa.

La politica ha quindi una grande responsabilità, quella di ritrovare il senso forte del suo agire nei valori fondanti di una democrazia matura.

Oggi, l’Italia è attraversata da una crisi non solo economica ma anche sociale che richiede una funzione di governo capace di esprimersi attraverso la realizzazione di riforme importanti. I cittadini hanno bisogno di una politica che avvii processi di cambiamento concreti, in grado di incidere sulle loro condizioni di vita. Gli interventi prioritari riguardano: la tutela del reddito e del potere d’acquisto, anche utilizzando la leva fiscale, la lotta  all’evasione ed una politica dell’accesso al credito che aiuti l’impresa, i giovani e la famiglia (le banche hanno beneficiato dell’aiuto di stato, nel momento di crisi, per salvare i propri capitali ed ora devono ritornare tali aiuti in termini di minori limiti al credito); una scuola che formi i giovani alle nuove necessità del mondo del lavoro; l’accesso ad un mercato del lavoro che offra garanzie di futuro alle generazioni più giovani e dopo il periodo di lavoro,  gli garantisca una pensione; il potenziamento di servizi sociali per le famiglie, gli anziani e le persone diversamente abili; l’offerta di una sanità di qualità in tutte le aree geografiche del Paese; una qualità e quantità di trasporto pubblico locale idonei alle esigenze di mobilità dei cittadini; un grande piano infrastrutturale mirato alle esigenze delle imprese e del sistema di trasporto integrato; una portualità diffusa ed integrata e per finire la lotta alla criminalità organizzata, che oramai ha diramazioni ed interessi in tutto il Paese.

Una riflessione sugli avvenimenti politici di questi ultimi mesi dimostra, invece, l’inopportunità che entrino, nell’agenda di governo, i temi relativi alla giustizia ( che invece stanno bloccando l’attività del parlamento e che sembrano interessare solo il Premier e i suoi accoliti), la modifica della costituzione repubblicana oppure i temi relativi all’ambito dei diritti civili (Bioetica, fine vita e coppie di fatto) perché interessano trasversalmente gli schieramenti politici e per questo vanno affrontati e votati in parlamento nelle libertà delle coscienze.  Questo disinnescerebbe la polemica politica, cui stiamo assistendo, evitandoci, per quanto concerne i temi etici, la penosa appropriazione dei valori cattolici da parte di coloro che erano in prima fila al Family Day,  per poi dimostrare, con i fatti e con i propri stili di vita, che erano i primi a non rispettarne i crismi.

Paolo Bonafè

Una nuova Italia è possibile

Mancano pochi giorni al fatidico 14 dicembre, giorno della presentazione della mozione di sfiducia al Governo da parte delle opposizioni e di FLI, e si alza forte la voce di quanti  denunciano la compravendita di parlamentari, a fronte di coloro che giustificano il trasformismo come  “normale mobilità” di appartenenza tra gruppi parlamentari.

Ma per l’opinione pubblica, gravemente preoccupata dalla crisi finanziaria e dalle sue pesanti ricadute sui livelli occupazionali, il teatrino della politica provoca un disgusto profondo e rabbioso. I leader delle diverse formazioni politiche stanno mascherando le loro vere intenzioni con comunicati e azioni, spesso fra loro contradditori. Sembra esserci una sola certezza: a Berlusconi conviene il voto a primavera, con in vigore l’attuale legge elettorale che gli garantisce la scelta dei parlamentari e assegna il premio di maggioranza alla coalizione vincente, anche per un sol voto.  Oggi la coalizione PDL e LEGA viene data circa al 40%, pur con una emorragia di voti dal   PDL verso la LEGA, ma  Berlusconi otterrebbe il risultato di punire i dissidenti di FLI, che sarebbero costretti ad allearsi con l’UDC e l’API, formando un terzo polo, dai risultati elettorali non particolarmente lusinghieri.  Il voto sarebbe utile  anche al PD che, dagli accordi in corso tra Casini e Fini che puntano fortemente ad un governo “tecnico” (o un Berlusconi bis allargato) che li veda protagonisti,  rischia di restare fuori della partita: i  sondaggi, infatti, danno un PD in calo di consensi rispetto alle politiche 2008,  ma compensati da una Sinistra in crescita, tanto da portare  la somma dei voti di PD-IDV e SEL al 38%.

Questo significa che i due poli di centrodestra e di centro sinistra potrebbero confrontarsi con un certo equilibrio (e l’elettorato questa volta potrebbe premiare il centrosinistra) mentre il terzo polo, considerato causa della caduta del Governo, resterebbe isolato, nell’impossibilità di praticare alleanze.

Per questo auspico che il PD non cada in logiche tatticistiche, ma si faccia interprete efficace delle richieste che provengono dal Paese – innanzi tutto stabilità, credibilità, legalità – e si assuma la responsabilità di disegnare, come proposta elettorale,  un nuovo grande progetto in cui l’Italia  produttiva e solidale si riconosca, quell’ Italia  che vediamo unita ed operosa nelle sciagure, ma spesso disorientata e lacerata, causa l’affermarsi da vent’anni di una cultura deteriore e manipolatrice. Credo che il più grande partito della sinistra italiana, facendo sinergia tra tradizione socialdemocratica e  cattolica, possa e debba essere il protagonista del processo di cambiamento, indispensabile per dare un futuro di democrazia, di benessere sociale ed economico al Paese..

 Paolo Bonafè Lido di Venezia 10/12/2010

La situazione economica delle famiglie italiane e le ricette del PD

Grazie ai periodici Rapporti dell’Istat, abbiamo un monitoraggio costante sulla condizione economica delle famiglie italiane e sui cambiamenti degli stili di consumo, a fronte della crisi economica.

I dati, pubblicati in questi giorni, evidenziano come  la situazione di sofferenza coinvolga ormai tutto il ceto medio: nel 2009, la spesa media delle famiglie è diminuita complessivamente  del 1,7%, ma quella alimentare, da sola, del 3%, ad indicare come i nostri concittadini concentrino il risparmio sul carrello della spesa. Il 60% ha consumato di meno, ma in questa percentuale rientra anche un 35% che ha acquistato prodotti di qualità inferiore: d’altronde rispetto alle spese fisse, legate alla casa e alla sua gestione, è al supermercato che si può tagliare sui costi e tentare di risparmiare. Diminuisce il consumo di carne, di frutta, verdura e pane e si scelgono i prodotti in promozione o con il marchio del distributore: insomma il fare la spesa richiede scelte oculate e ragionate, un vero slalom fra prezzi e offerte.

Ma la crisi economica sta anche provocando l’aumento delle distanze sociali, accentuando le disuguaglianze e accentrando la ricchezza nelle mani del 10% delle famiglie che, da sola, detiene quasi il 45% della ricchezza del Paese. Si tratta di una situazione che radicalizza le posizioni: i ricchi sono sempre più ricchi, i poveri più poveri,  mentre la classe media scivola inesorabilmente nel disagio economico. Quest’ultimo è un fenomeno che l’America conosce bene e per cui ha trovato la definizione di “working poor”, lavoratori poveri: un tempo il lavoro rappresentava una garanzia contro la povertà, oggi questo  non è più vero. Servono quindi nuove politiche per la famiglia e per il  ceto medio. Il PD non solo protesta, ma anche propone, suddividendo tale proposta in 4 ambiti: 1) riforma fiscale: per spostare il carico fiscale dal lavoro e dall’impresa ai redditi evasi e ai redditi da capitale. (tassazione di tutti i redditi con una aliquota di riferimento del 20%); aumento delle detrazioni di imposta per le donne lavoratrici; assegnazione di un contributo annuo di 3000 euro per figlio ed eliminazione dei tetti ed il “click day” all’utilizzo dei crediti d’imposta per spese in ricerca e sviluppo e per gli interventi nel Mezzogiorno; innalzare la franchigia Irap per le piccole imprese; innalzare i limiti di fatturato e patrimonio e rivedere gli studi di settore; reintrodurre la detrazione di imposta del 55% per le eco-ristrutturazioni e per il risparmio energetico. 2) Allentamento del patto di stabilità: per evitare a Regioni, Provincie e comuni pesanti tagli agli investimenti (messa a norma edifici scolastici, green economy, politiche del welfare). 3) Integrazione delle risorse per la scuola: contenimento dei costi, incentivazione al lavoro per i giovani precari, riforma del sostegno al reddito per i giovani disoccupati. 4) Riavvio delle liberalizzazioni: nel settore dell’energia, della distribuzione, dei servizi bancari, servizi professionali e nel trasporto pubblico. Il tutto accompagnato da un contrasto alla evasione fiscale grazie alla riduzione a 2000 euro del limite per la fatturazione elettronica, accertamento sintetico da redditometro, accesso selettivo alle informazioni bancarie, basta a condoni o scudi fiscali e ripristino delle sanzioni ante 2008. Soprattutto chiedendo al Governo che nella manovra non siano previsti solo tagli, ma anche investimenti per lo sviluppo, così come stanno facendo Germania e Francia, per riavviare in modo virtuoso la ripresa   

Paolo Bonafè Membro Esecutivo Provinciale

PD VENEZIA

I beni confiscati alle mafie: segni di speranza

Lo scorso 8 febbraio è stata presentata  a Roma la ricerca “ Beni confiscati alle mafie: il potere dei segni”, che propone un viaggio fra le significative esperienze, realizzate nel nostro paese, mediante la restituzione alle comunità locali  dei beni  sottratti alle organizzazioni criminali di  tipo mafioso. Dal 1982 al 2008, sono state ben 1.259 le proprietà confiscate, circa il 70% di queste sono gestite dal Terzo Settore, che ha avviato una pluralità di progetti di alto valore sociale, promuovendo e consolidando la cultura della legalità e della  partecipazione, in luoghi  storicamente in mano alla criminalità organizzata. La ricerca  prende in esame 116 progetti, di cui 31 realizzati in Sicilia  e 27 in Campania, ma essa rappresenta  un autentico viaggio dal nord al sud del paese: infatti, sorprendentemente, troviamo raccontate anche due esperienze presenti in Veneto. La prima riguarda una villa, a Campolongo Maggiore (VE), confiscata alla “Mala del Brenta”, dove l’Associazione  Affari Puliti, con il concorso degli Enti Locali, promuove un incubatore di impresa a favore di giovani. Nello stesso spazio il Comune di Campolongo, gestisce, in collaborazione con il non profit, interventi a favore di persone a rischio di esclusione sociale. La seconda esperienza la si incontra ad Erbè (VR), dove, in una parte di un complesso immobiliare ubicato in zona agricola, l’Ulss 22 ha organizzato, con il supporto del Terzo Settore, servizi e comunità a favore di persone con problemi psichiatrici o di disabilità. Una porzione è affidata all’Agesci, per la realizzazione di una base regionale, mentre  il resto dell’area è destinato alla cittadinanza come  parco urbano.  

Paolo Bonafè presidente www.laboratoriovenezia.it

Per il futuro della regione servono alleanze su obiettivi e progetti

Il dibattito politico cittadino, in questo scorcio d’estate, è vivacizzato da una proposta provocatoria di Paolo Costa, ex Sindaco di Venezia, attualmente presidente dell’ Autorità Portuale della città, ma anche influente esponente del PD, che apre alla prospettiva di un’alleanza politica PD e PDL per il governo del Veneto. L’ipotesi di Costa si fonda su due presupposti: da un lato, la sinergia già in atto fra i due partiti, per garantire la realizzazione di alcuni importanti progetti regionali relativi al sistema viario ed infrastrutturale, dall’altro, la necessità, da parte del PDL, di frenare l’avanzata della Lega, che sta mettendo in predicato la poltrona del governatore Galan e mina pesantemente il radicamento e la presenza territoriale del partito di maggioranza relativa. La proposta di Costa sembra mirare alla costruzione di un’alleanza strategica, fondata sulla condivisione di un progetto complessivo, garante dello sviluppo del nostro territorio, capace di cogliere le sfide di innovazione, che la grave crisi economica impone al sistema economico veneto. Questa proposta ricorda, per qualche verso, il laboratorio politico proposto da Cacciari, con la sua elezione a sindaco nel 2005: in quel caso però il “patto per la città” era avvenuto in sede di ballottaggio, quando l’assetto delle alleanze e delle squadre degli eletti era già formato. La proposta di Costa cade in uno scenario politico profondamente mutato, caratterizzato, in modo particolare, da una Lega ad aspirazione maggioritaria per il governo regionale, ma soprattutto, non va sottovalutata, perché pone alcune questioni di fondo sul tema delle alleanze per la definizione di strategie di sviluppo territoriale. E’ indubbio che la nostra Regione paghi un ritardo nella realizzazione delle opere infrastrutturali, indispensabili per lo sviluppo del nostro territorio e di tutta l’area del Nord Est; è altrettanto vero che la realizzazione delle grandi opere, quali il Passante, non sarebbe stata possibile se non si fosse trovato un accordo tra le forze di maggioranza e di minoranza ed infatti il Protocollo di intesa vede apposte le firme di Berlusconi, Galan, Busatto (allora Presidente della Provincia) e di Cacciari.
Sono comprensibili e condivisibili le perplessità, che la proposta di Costa ha sollevato tra alcuni esponenti del mio partito, ma va ricordato che, se il PDL è a guida della Regione, il PD ne governa importanti comuni, tra cui Venezia e un’alleanza strategica è quanto mai auspicabile per la realizzazione di quei progetti, divenuti oramai fondamentali per lo sviluppo di quest’area. Di seguito ne elenco alcuni che ritengo più prioritari di altri, quali:
• l’ultimazione del progetto TAV, con la creazione dell’HUB di Tessera e il prolungamento fino a Trieste del percorso alta velocità;
• i nuovi investimenti sul sistema mobilità: terza corsia della A4, Romea Commerciale, Camionabile e Pedemontana, autostrade del mare e autostrada viaggiante;
• il mantenimento di un polo della chimica pulita a Portomarghera, ma anche un serio ed articolato progetto di riconversione industriale, che punti, soprattutto nell’area del waterfront, allo sviluppo del Parco Tecnologico del VEGA, allo sviluppo della logistica e al trasferimento in un'unica area di tutta la cantieristica minore e maggiore;
• la realizzazione del nuovo Porto commerciale e passeggeri ( resto dell’idea che si possa pensare, in prospettiva futura, ad un porto a mare, sul tipo di quello costruito a Shanghai in Cina, non vincolato e/o limitato ai pescaggi e alle strutture delle future navi e collegato alla città tramite un tunnel Sublagunare);
• lo sviluppo del Quadrante di Tessera, come nuova area urbana ed economica della città e la completa realizzazione del Piano di Assetto Territoriale;
• la realizzazione, per Venezia e la Terraferma, del Piano Urbano della Mobilità, con lo sviluppo dei terminal.
Certamente questi progetti restano tali se non viene garantita loro la congrua copertura finanziaria, cosa che a tutt’oggi manca, basti leggere quanto previsto dal Documento di Programmazione Economica redatto dal CIPE. Su questo si gioca la credibilità dei soggetti protagonisti, rispetto alla stessa cittadinanza
Paolo Bonafè
Membro Esecutivo Provinciale PD e Responsabile Prov. Infrastrutture e Mobilità

L’equilibrio degli opposti nella parola crisi

Crisi, espressione inflazionata di questi tempi, per definire una situazione difficile e complessa, eppure questa parola ha, nel contempo, un significato aperto ad un dimensione di prospettiva ed opportunità. Il contenuto etimologico del vocabolo, che deriva dal greco, si riferisce al separare e quindi allo scegliere: il termine crisi pertanto, in questa accezione, indica una fase, che separa una maniera di essere, da un’altra differente; la crisi rappresenta così un momento di passaggio, cambiamento e scelta. Uscendo dai riferimenti della cultura occidentale, e trasferendoci nella lontana Cina, scopriamo che la parola crisi è composta da due ideogrammi: wei e ji, il primo significa problema, il secondo opportunità. Quindi, anche in culture così diverse, questa espressione include due poli, apparentemente opposti, ma che, tenuti insieme, attribuiscono senso e significato alla situazione vissuta. Le crisi, economiche e sociali, come quelle relazionali e personali, rappresentano fasi dolorose e faticose della vita di una società e dell’esistenza degli individui, ma contengono, in modo intrinseco, aspetti evolutivi e maturativi: sono molte le persone che riferiscono di essere uscite da una crisi più forti e umanamente arricchite. La crisi, per rappresentare un autentico momento di passaggio e cambiamento, richiede di essere riconosciuta, non negata nella sua reale problematicità e, in questa consapevolezza, esige la capacità di operare scelte importanti. In tale prospettiva, questo nostro tempo, caratterizzato dalla recessione economica e da un diffuso malessere sociale, è anche opportunità per costruire un modello di sviluppo migliore.

Paolo Bonafè – Presidente Laboratorio Venezia

Razzismo: eccezzione o fatto ordinario?

Oggi, sabato 13 giugno, a Roma, l’Associazione Lunaria presenta il Libro bianco sul razzismo. I curatori del volume pongono un quesito di fondo, per nulla banale, su come, nel nostro paese, gli episodi di razzismo non siano ascrivibili alla dimensione dell’eccezionalità, ma piuttosto rientrino in un approccio culturale, che investe in modo diffuso la nostra vita sociale. La ricerca, partendo dall’esame dei 319 casi che, dal 2007 all’aprile del 2009, sono entrati nelle pagine di cronaca dei nostri quotidiani, sfata l’opinione generale che definisce gli episodi di razzismo fatti isolati, non incardinati in un processo culturale che attraversa in modo complessivo il nostro paese, ma mostra come invece appartengano, purtroppo, all’ ordinarietà. Lo studio, inoltre, attraverso la rilettura del linguaggio giornalistico e delle modalità di riportare le notizie, indaga sulla rappresentazione, veicolata dai media, del fenomeno immigrazione, alimentando, attraverso l’attivazione di paure profonde, una cultura orientata al rifiuto e all’intolleranza nei confronti dello straniero. La stigmatizzazione delle persone consolida gli stereotipi, crea un corto circuito, fatto di diffidenza, pregiudizi ostilità, e favorisce un clima che ostacola qualsiasi processo, orientato alla costruzione di una società multietnica, come di fatto sta diventando quella del nostro paese, fondato sulla convivenza civile e rispetto reciproco. La preoccupazione che Lunaria segnala è forte e rappresenta un richiamo importante al reale pericolo che vede la cultura razzista permeare la vita sociale italiana.
Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia

Per una nuova amministrazione del territorio

La progressiva attuazione del principio di sussidiarietà, attraverso il quale Stato, Regioni, Enti Locali hanno favorito e promosso il ruolo dei cittadini nello svolgimento di attività di interesse generale, ha prodotto l’ affermarsi di un nuovo modello di governo territoriale in cui, pubblica amministrazione e cittadini, singoli e associati, concorrono alla costruzione del bene comune.
In questo nuovo scenario il ruolo delle amministrazioni si è gradualmente spostato: da soggetti erogatori di beni e servizi, a soggetti chiamati a sviluppare politiche pubbliche, orientate a governare la complessità sociale. Oggi, la partecipazione dei cittadini all’organizzazione del Paese esce dallo schema di riferimento tradizionale, che relegava tale funzione al diritto di voto o all’iscrizione a partiti politici e sindacati, diventa una nuova forma cittadinanza, capace di esprimere una maggiore e diversa responsabilità. Parallelamente, anche l’amministrazione deve dotarsi di nuovi strumenti per regolare il sistema, in cui agiscono una pluralità di soggetti pubblici e privati: capacità di ascolto, di mediazione, di promozione del capitale sociale delle comunità locali, oggi capaci di grande mobilitazione. La realizzazione della TAV in Piemonte, che ha visto il coinvolgimento attivo di interi paesi contro un progetto di interesse nazionale, ma avvertito come lesivo per quello specifico territorio, è la dimostrazione di quanto sia importante costruire dialogo, modelli di decisione partecipata fra amministrazione e cittadini, mediante il coinvolgimento di tutti i soggetti portatori di interesse sulla specifica questione.
Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia

Quale è il ruolo delle Province nel governo del territorio.

Ci apprestiamo, nel prossimo mese di giugno, ad andare alle urne per il rinnovo anche di moltissime amministrazioni provinciali: l’ente Provincia, da anni, è al centro di un dibattito nazionale che, di volta in volta, ne evidenzia il ruolo cruciale, nel sistema di governo dei territorio, o ne sottolinea l’inutilità, quale cascame di una concezione burocratica dello Stato. Una riflessione sulla funzione di questo Ente locale può, pertanto, fornirci di maggiore consapevolezza nel nostro ruolo di elettori. In questo ci supporta la normativa, che attribuisce alla Provincia una preziosa funzione di raccordo fra la fase di programmazione, competenza propria della Regione, e quella di gestione, di cui sono titolari i Comuni. La legislazione italiana, infatti, ha attribuito agli Enti locali, un assetto caratterizzato da autonomia con competenze differenziate, promuovendo, nel contempo, forme di governo associate ed integrate. Nel complesso scenario territoriale, l’azione di coordinamento della Provincia si esprime, nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale, attraverso azioni di pianificazione degli interventi, garantendo funzioni di interesse sovra comunali, denominate di “area vasta”, garantendo, in ambiti che richiedono governo ed integrazione di politiche diverse, economie di scala, ma anche il superamento del rischio di frammentazione degli interventi e di marginalizzazione dei territori più periferici. Il livello di governo espresso dalla Provincia diviene, pertanto, strategico nella prospettiva di un processo di riequilibrio a sostegno dei singoli comuni e cruciale nella promozione dello sviluppo locale.

Paolo Bonafè

Presidente Laboratorio Venezia