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Dalla pubblicazione dei redditi traspare che è il ceto medio che paga la crisi economica

Dalla pubblicazione dei redditi traspare che è il ceto medio che paga la crisi economica
E’ di questi giorni la polemica relativa alla pubblicazione sul Web dei redditi degli italiani. Al di là delle valutazioni di legittimità di questa azione, l’elemento su cui desidero soffermarvi si riferisce all’altissimo numero di contribuenti con un reddito di circa 15.000 euro annui: se da un lato, ci si confronta con questo dato interrogandosi se non sia influenzato da un livello di evasione fiscale ancora troppo elevato, dall’altro, non ci si può esimere dall’esprimere preoccupazione per la situazione economica del paese. La Confcommercio evidenzia un crollo dei consumi e una contrazione della spesa del 1,7%, segnalando per l’Italia il pericolo della crescita zero. L’andamento non positivo delle borse, l’aumento del costo dei mutui e il concomitante aumento del prezzo del petrolio (con tutte le sue derivazioni e conseguenze) stanno mettendo in ginocchio la famiglia media italiana, che è e si sente sempre più povera. Si allarga, pertanto, il divario fra il ceto medio e chi detiene la ricchezza: non a caso il mercato segnala che i beni di lusso non sono toccati dalla crisi. Il Governo è pertanto chiamato ad individuare strategie urgenti a sostegno dei redditi: la proposta di ridurre le aliquote IRPEF è quanto mai necessaria, ma va coniugata alla introduzione di quozienti familiari, a forme di aiuto alle famiglie monoreddito e ai pensionati. Il fantasma della recessione è infatti oggi un rischio concreto e reale, soprattutto nella situazione congiunturale che vede l’aumento del costo delle materie prime, il crollo della domanda interna e un euro troppo forte nei confronti del dollaro, con la conseguente crisi delle esportazioni.
Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it

Alcune osservazioni sulla Legge Finanziaria per il 2007

La Legge Finanziaria non è solo al centro del dibattito politico ma è anche oggetto di interesse da parte dei cittadini; ho però la sensazione che le informazioni a disposizione siano spesso confuse, parziali e di conseguenza poco utili per la comprensione di uno strumento molto complesso. Sicuramente, esistono responsabilità da parte di chi ci governa, che quotidianamente ci offre un quadro incerto e in continuo cambiamento della Finanziaria, ma anche da parte di quei settori dell’opposizione che, sconfitti dalle votazioni, vogliono usare la protesta di piazza per creare allarmismo sociale tra i contribuenti del ceto medio, che stanno soffrendo, ancor oggi, l’entrata dell’Euro e sono preoccupati di dover subire ulteriori perdite del proprio potere d’acquisto.
Lo scontro politico cui stiamo assistendo, non giova all’esercizio responsabile della democrazia: la stessa opposizione, qualora avesse vinto le elezioni, sarebbe stata chiamata ad intervenire su una oggettiva situazione di pericolo per i conti pubblici, infatti, l’ Avanzo Primario è passato dal 5,5% del PIL del 2000, allo 0,4% del PIL nel 2005. Questo ha comportato una spesa pubblica che è cresciuta a ritmi insostenibili, tanto da costringere il precedente governo a ridurre le componenti discrezionali della spesa pubblica, relativamente ai finanziamenti in conto capitale, a quelli per le infrastrutture, per le reti ferroviarie e stradali, per la ricerca e lo sviluppo. Il governo Prodi, in una situazione che poteva causare la paralisi e la chiusura dei cantieri già appaltati, ha dovuto rifinanziare (con il Decreto Bersani-Visco) di 2,8 miliardi di euro sia l’ANAS che le Ferrovie dello Stato. In un contesto di tale criticità, era improcrastinabile l’intervento sui conti pubblici: il Governo ha ritenuto di presentare una manovra finanziaria che prevedesse una mobilizzazione di oltre 33,4 miliardi di euro ( pari al 2,3% del PIL). Di queste risorse finanziarie: 5 miliardi sono destinati al grande piano dei trasporti, altri 15 miliardi sono destinati alla riduzione del deficit di bilancio, i rimanenti sono destinati ad interventi per lo sviluppo e l’equità sociale.
Questo in linea con quanto indicato dalla Comunità Europea, che chiede una correzione strutturale del debito netto pari a 1,6 punti percentuali del PIL (biennio 2006-2007) e una rimodulazione del rapporto tra il deficit e il PIL al 2,8% nel 2007. Sull’entità della manovra è legittimo esprimere opinioni diverse, ma la lettura dei dati succitati, correlati a quelli che indicano la presenza in ITALIA di un indice di povertà relativa pari al 19%, rispetto al 15% della media europea, mette in luce che siamo tra i paesi d’Europa con la più alta disuguaglianza dei redditi. L’aumento del lavoro precario e l’incremento della volatilità dei redditi, coniugato al loro livellamento verso il basso, a seguito dell’entrata in vigore dell’euro, hanno accentuato nei nuclei familiari la sensazione di vulnerabilità economica e sociale.
Operare sull’IRPEF e su gli altri indicatori economici, diviene quindi l’unico strumento a disposizione dello Stato, per aiutare coloro che vivono al limite della soglia di povertà. Questi interventi sono: la modifica delle aliquote; l’aumento della no-tax area per i dipendenti, i pensionati e gli autonomi; la riforma degli istituti a sostegno delle famiglie e per i carichi famigliari. Queste azioni, si presume, porteranno ad una diminuzione dell’imposta per i redditi medio- bassi dei lavoratori dipendenti, autonomi e dei pensionati, che rappresentano il 90% dei contribuenti italiani. Nella finanziaria sono inoltre presenti interventi che restringono le aree di precariato, quali l’aumento dei contributi sociali per i lavoratori parasubordinati e la riduzione del cuneo fiscale (la differenza tra il costo del lavoro sostenuto dall’azienda e la retribuzione netta effettivamente ricevuta dal lavoratore). Questo fattore ridarà fiato alle imprese, visto che il cuneo fiscale e contributivo in Italia è pari al 47,6% del costo del lavoro, mentre in Europa il valore medio è pari al 15%. In campo sociale, sono previsti interventi per oltre 6 miliardi di euro finalizzati: al potenziamento dei fondi per l’ occupazione, all’indennità di disoccupazione; alla creazione e potenziamento dei fondi per la famiglia, per i giovani e per le pari opportunità; al rilancio della politica abitativa, con agevolazioni agli interventi di edilizia residenziale pubblica, a favore dei giovani e dei ceti meno abbienti; al rafforzamento dei servizi per la famiglia.
Pertanto, riportando il dibattito sui temi importanti della manovra, questa finanziaria può rappresentare un primo strumento, orientato a favorire azioni di cambiamento nella politica dei redditi, a garanzia di una maggiore eguaglianza sociale, che potrà realizzarsi appieno solo quando verrà debellata quell’evasione fiscale, che droga il sistema del Welfare, sottraendo risorse a coloro che veramente abbisognano d’aiuto.
Per il futuro, una strada percorribile potrebbe essere quella di adottare il sistema Americano, che prevede la completa deducibilità di tutte le spese sostenute: in quel caso ci sarebbe l’interesse da parte di ogni cittadino ad utilizzare carte di credito – bancomat – assegni e a richiedere parcelle e fatture per le prestazioni richieste. Ma già un primo passo per garantire equità fiscale, sarebbe rappresentato dal controllo incrociato dei dati fiscali, legato ad un redditometro.

Paolo Bonafè
Il Presidente di “LABORATORIO VENEZIA”

Diciamo No ai tagli previsti nella Finanziaria 2006 per la FLOTTA PUBBLICA e per la CANTIERISTICA ITALIANA

Da analisi fatte l’80% delle merci in entrata ed in uscita dall’Italia viaggia via mare e di queste il 66% (per la mobilità interna) si sposta poi su strada; se a questi dati sommiamo anche il trasporto civile, l’incidenza del trasporto su gomma sale all’87%. Con questi dati dobbiamo onestamente dirci che i progetti di costruzione e/o ampliamento di autostrade non possono rappresentare l’unica via di sviluppo possibile per il Paese, per i costi economici ed ambientali che comportano.
Pertanto il trasporto marittimo, soprattutto per percorrenze superiori ai 300 km, diviene il settore che potrebbe registrare un alto margine di sviluppo e un basso impatto ambientale. Purtroppo, però, questo settore occupa ad oggi, solo il 5% del traffico merci totale. Pertanto, in una penisola come l’ITALIA, l’azione politica non può prescindere dall’analisi attenta dei costi economici, sociali ed ambientali delle scelte che si effettuano. Da un lato l’aumento vertiginoso di presenza di tir sulle nostre strade mette in luce l’inquinamento prodotto, le eccessive ore di guida dei camionisti, l’usura dei mezzi, il rischio incidenti; dall’altro il rilancio del trasporto via mare, garantirebbe l’allentamento della pressione sul nostro sistema stradale, permetterebbe la revisione di investimenti economici onerosi in infrastrutture con tempi lunghi di realizzazione.
Orbene, allora non si capisce perché il Governo non attui misure mirate in tale direzione. CONFITARMA ha lanciato un messaggio di allarme al Parlamento e al Governo che è rimasto ad oggi inascoltato. La stessa, con una lettera aperta inviata lo scorso 19 dicembre, chiedeva il rinnovo degli sgravi contributivi per le navi che operano nel cabotaggio, oltre al rifinanziamento della legge 88 del 2001, che consente di ridurre i costi per le costruzioni navali .
Intervenire in tali settori è indispensabile per non penalizzare importanti realtà industriali del nostro Paese. Gli sgravi contributivi per le navi che operano nel cabotaggio è una misura introdotta nel 1999, con l’apertura del traffico marittimo interno alle navi degli stati europei e tale intervento è finalizzato a ridurre i costi di esercizio delle navi italiane. L’altro intervento menzionato è il finanziamento della legge 88 del 2001, che prevede in accordo con il regolamento europeo, contributi del 9% per gli armatori che decidono di rivolgersi a cantieri italiani per costruire nuove navi. Questo significa che, per 17 delle cinquantasei nuove navi costruite grazie alla legge, non ci sono i soldi che il Governo si era impegnato ad assicurare agli armatori. Se uniamo poi questi tagli a quelli previsti per la flotta pubblica, in ordine ai contributi per i servizi dovuti, la situazione diviene davvero grave.
Questo significa mettere in pericolo migliaia di posti di lavoro e mettere in ginocchio un fondamentale settore economico.
Le Associazioni di Categoria degli Armatori pubblici e privati e l’ANCANAP (Associazione dei Cantieri Privati Italiani) auspicano che il Governo intervenga grazie ad un decreto correttivo “OMNIBUS”, anche se ad oggi non ci sono messaggi positivi in tal senso. Sotto il profilo ambientale sembra banale ricordare il livello inferiore di inquinamento prodotto dalle navi e il minor consumo energetico: le navi utilizzano nafte pesanti meno costose e prive di additivi che, se bruciate secondo le nuove normative, non inquinano.
In secondo luogo, sviluppare il trasporto via mare, comporta investimenti calcolati in una percentuale di 15 volte inferiore, rispetto agli investimenti necessari per infrastrutture stradali o ferroviarie. Un ulteriore calcolo evince che sarebbero sufficienti circa quindici navi traghetto, per diminuire del 20% il traffico pesante nelle tratte autostradali più congestionate: tale soluzione sarebbe disponibile in tempi ridotti rispetto alla realizzazione di infrastrutture autostradali e ferroviarie.

Pertanto, visto che a VENEZIA esistono importanti compagnie armatoriali e importanti cantieri di costruzione navale diviene fondamentale che i politici: parlamentari ed amministratori locali, intervengano verso il Governo ed il Parlamento per evitare che i tagli previsti mettano in ginocchio l’economia marittima e causare importanti ripercussioni anche sui livelli occupazionali locali e quindi sull’economia cittadina.

Il Segretario Regionale
FEDERMAR-CISAL Veneto
Cap.Paolo Bonafè