Il pericolo delle estrazioni di gas metano in Adriatico
L’ estrazione di gas metano in Adriatico rappresenta un tema ricorrente nell’agenda della politica, perché su di esso si scontrano le posizioni inconciliabili, fra coloro che ritengono necessario attingere a quest’enorme serbatoio di gas e coloro che ne segnalano il disastroso impatto ambientale. A conferma di quest’ultima posizione, abbiamo a riscontro la mutata morfologia del litorale adriatico e gli effetti di subsidenza che, a seguito delle estrazioni, hanno già interessato la costa romagnola che quella di Chioggia.
Ne caso di Venezia dove, fino agli anni settanta le industrie di Portomarghera hanno attinto, per il loro fabbisogno industriale, alle acque delle falde sottostanti, l’ effetto di subsidenza dei fondali, verificato rapportando le carte nautiche militari degli anni 1886-1894 con quelle dell’istituto idrografico dei primi anni 70, è calcolato di ben 23 centimetri. Da qui la conseguente creazione di canali che dal SILE portassero l’acqua necessaria alle industrie Nel 2000, anno della concessione per l’estrazione, data dal governo italiano all’ENI, sono stati prodotti studi dall’Università di Padova che evidenziano come, un pompaggio di gas metano dal giacimento denominato “CHIOGGIA2”, che si estende da 2 miglia fino a 12 miglia dalla costa, provoca un effetto di subsidenza del livello marino pari a 40 cm.. L’ ulteriore conseguenza sarebbe l’erosione dei litorali sabbiosi, provocata dalla formazione di vortici e dall’ accumulo di materiale solido, dovuti alla formazione di nuove fosse ed avvallamenti marini, causati dal processo di estrazione di gas: fenomeno riscontrabile nella spiagge della zona centrale del Lido, tanto che il Consorzio Venezia Nuova sta costruendo dighe trasversali di contenimento dei depositi sabbiosi. L’effetto conseguente alla subsidenza, è l’eustatismo (innalzamento del mare), che è stato misurato in 8,8-10,5cm, con evidenti conseguenze relative al fenomeno delle «acque alte» a Venezia e a Chioggia. La subsidenza andrebbe poi ad indebolire il sistema delle «difese a mare», che si stanno ricostruendo e consolidando da alcuni anni, diminuendo o impedendo il rifacimento naturale o artificiale dei litorali e innescando processi di erosione, che confliggono con l'uso turistico-balneare delle spiagge.
Va inoltre ribadito che non esiste una tecnologia che consenta di ripressurizzare il sottosuolo, poiché la reimmissione di acqua nei giacimenti contestualmente all'estrazione di gas, interessante sul piano teorico, non risulta, in fase concreta di applicazione, efficace ad evitare i fenomeni di subsidenza e a preservare la tenuta delle faglie tettoniche, dal rischio di movimenti sismici.
Pertanto, di fronte alla criticità di questo scenario e ai molteplici fattori di rischio, cui viene sottoposto il nostro patrimonio ambientale, vanno vietate le estrazioni dai giacimenti, contigui alle coste italiane, e va monitorata l’attuale attività estrattiva delle società che hanno avuto la concessione italiana e croata (vedi ENI e INAGIP,jont-venture italo-croata). Questo prima che si attuino processi irreversibili per le coste adriatiche e per Venezia.
Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it