Già ad aprile di quest’anno avevo evidenziato quanto emerso da un interessante studio commissionato dalla Coldiretti, nel quale si evidenzia come anche i nostri stili alimentari possano aiutare a salvaguardare l’ambiente. In questo studio viene messa in correlazione la provenienza dei cibi con la produzione di anidride carbonica prodotta dai mezzi di trasporto che servono per la loro movimentazione. Oggi che viviamo la globalizzazione dei mercati diviene facile trovare sui banchi del supermercato frutta ed alimenti che provengono da luoghi molto distanti dal nostro. Sembrerà strano ma tali studi (presentati al recente Forum Internazionale su “Territorio e clima: prospettive e soluzioni per l'energia del futuro”) evidenziano come un pasto contenente piatti “a lunga distanza” sia in grado di liberare 170 chili di CO2. Cioè portare sulle nostre tavole cibi come la carne argentina (36 chili), le suine sudafricane (26 chili), il riso thailandese (27 chili), gli asparagi spagnoli (6 chili), le pere argentine (36 chili) e il vino rosso cileno (39 chili) comporta liberare nell’atmosfera chili e chili di CO2. Negli Usa, è stato dimostrato che un chilo di mele importato consuma cinque volte più energia di quelle locali, in Germania hanno evidenziato che usando prodotti agricoli regionali è possibile ridurre del 70 per cento il consumo di trasporto incorporato in un vasetto di 150 grammi di yogurt alla fragola, mentre in Inghilterra è stato dimostrato che i chilometri percorsi dai prodotti alimentari sono aumentati in venti anni del 76 per cento. In Italia questo avviene anche senza che il consumatore abbia un aggravio di costi. A tal scopo, necessiterebbe, che da parte del Governo e dell’Associazione Consumatori fosse avviata una seria indagine per capire le motivazioni che vedono il quadruplicamento de prezzi dal produttore al consumatore finale unita all’impegno di ognuno di noi, perché sulle nostre tavole arrivino cibi più genuini, più convenienti e soprattutto con minor impatto ambientale. A questo si dovrebbe unire l’impegno delle Pubbliche Amministrazioni, perché nelle mense scolastiche ed ospedaliere siano somministrati solo cibi che abbiano una provenienza locale certificata. Sul piano operativo mi risulta che la Coldiretti abbia già avviato una serie di iniziative quali: l'obbligo di indicare in etichetta la provenienza dei cibi in vendita; accordi con le aziende della grande distribuzione perché creino delle aree specifiche, dove i clienti possano trovare gli alimenti locali; la promozione delle vendita diretta degli agricoltori in “farmers market”, fino alla inaugurazione di osteria a “chilometri zero”.
Quindi, anche grazie ad una nostra migliore educazione alimentare, possiamo tutelare l’ambiente e le nostre tasche.
Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia