Anche l’acqua è diventata un argomento “caldo” nel dibattito politico italiano: proprio in questi giorni è stato infatti approvato un decreto, che obbliga le pubbliche amministrazioni a privatizzare, fra gli altri, anche tutti i servizi idrici.
Di fronte al pesante deficit pubblico e alle pessime condizioni della rete idrica italiana, che richiederebbe massicci interventi di ripristino, la scelta del Governo è quella di trasferire il problema a soggetti privati che, nella logica del profitto, potrebbero aumentare le tariffe, per recuperare le risorse indispensabili agli interventi. Eppure, le esperienze di privatizzazione già in atto, hanno dimostrato che, a fronte di un aumento delle bollette, non è stato attuato alcun intervento sulla rete di distribuzione. Benché il tema non abbia ottenuto la giusta rilevanza da parte degli organi di informazione, da parte di una pluralità di soggetti, attenti ai temi della cittadinanza e dell’ambiente, viene segnalato come l’intervento governativo si dimostri non rispettoso del principio di sussidiarietà, secondo il quale spetterebbe agli organi di governo locale – Regioni, Province e Comuni – individuare le forme di gestione dei servizi di pubblica utilità. Sono molte le associazioni e le reti che si stanno opponendo alla mercificazione di un bene vitale, chiedendo di escludere il servizio idrico dai servizi pubblici locali di rilevanza economica. Ma anche il buon senso comune fa capire che “l’acqua del sindaco” è certificata da processi di controllo, che rappresentano una garanzia per tutti. Anche molti Comuni sono contrari alla privatizzazione, che comporterà la rinuncia alla propria funzione su una risorsa fondamentale.
Paolo Bonafè – Presidente www.laboratoriovenezia.it