I primi dati sugli esiti della sua applicazione, riaprono il dibattito sulla social card, mettendo in luce l’inadeguatezza strutturale di questa misura per il sostegno economico alle famiglie in difficoltà. In base al principio costituzionale di sussidiarietà, allo Stato spetta la definizione di politiche nazionali e di standard delle prestazioni, per garantire ai cittadini uniformità di trattamento, mentre l’erogazione di una misura monetaria, a contrasto della povertà, non può scavalcare ruolo e funzioni di Regioni ed Enti locali, che hanno una specifica e diretta competenza nella programmazione territoriale e nella realizzazione e gestione degli interventi a favore dei cittadini. Oggi, la povertà presenta aspetti multidimensionali, che non possono essere letti solo con indicatori economici e anagrafici, perché è determinata dalla presenza o meno di reti familiari e sociali di protezione, ma anche dal costo della vita, che è territorialmente diversificato. Un intervento, che non si collochi in una lettura articolata della condizione reale delle persone, innestata nei loro contesti di vita, perde di efficacia. In un momento di così grave congiuntura economica, l’uso delle risorse rappresenta uno strumento strategico che deve uscire da logiche meramente assistenziali, o peggio ancora populiste: ogni investimento va concertato con i diversi livelli di governo, per integrarsi con le reti di risorse, servizi e interventi presenti nei territori. Erogazioni monetarie assegnate in modo frammentario, non ricomposte su base territoriale e non organiche a politiche di inclusione sociale, rappresentano interventi inadeguati che non garantiscono alcuna efficacia.
Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia